K diKnowledge

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Intro
Una "conoscenza partecipata", un knowledge management frutto di tutte quelle pratiche, abitudini, informazioni che nascono vivendo l’azienda ogni giorno e che la fanno crescere e migliorare. Un trasferimento di conoscenze che negli anni si tramanda di generazione in generazione, come fa il maestro con il suo allievo. Da anni Pirelli presta estrema attenzione alla formazione dei propri team: ieri con l’Istituto Alberto Pirelli e oggi con piattaforme digitali, come Learning Lab.
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Quando inizia la conoscenza?

"Una cosa che non si sa che cos'è è comunque conoscenza sapere cosa non è" C. G. Jung

Il gioco dei mimi funziona così: ti appiccicano sulla fronte un post-it con una parola da indovinare. Come? Interpretando i gesti - da mimo, appunto – di chi ti si siede di fronte.
Tutto inizia così: con mia sorella che mi guarda negli occhi. Gonfia le guance, allarga le braccia, si tocca più volte le tempie, strabuzza lo sguardo. E scuote la testa ogni volta che azzardo: "Rana?"; "Ah no: vento!"; "No, certo, che sciocco: zampogna!".
A tempo scaduto mi sono staccato il foglietto dal viso.
"Conoscenza! - l'ho sentita urlare – Conoscenza! Come hai fatto a non capire!"
Eravamo ad una festa. Mi sono versato da bere. Sono rimasto in silenzio. Ma quella domanda è rimasta per sempre.
"Conoscenza. Come fai a non capire?" Come fai a non capire che cos'è la conoscenza? Perché io: non lo capisco.
Ai tempi dell'università, la mia fidanzata mi inviava ogni giorno una mail d'amore.
In copia conoscenza. Cioè il primo destinatario di quelle parole non ero io: era sua madre; ma al momento di cliccare invio, in copia – conoscenza appunto - aggiungeva me. Sulle prime ho pensato: ma che bello! Poi l'ho lasciata. E' questa la conoscenza? Una copia di qualche amore?
Un'altra volta, un amico che oggi lavora per Google (si occupa d'intelligenza artificiale, lo chiamano La mente) ha aperto la porta-finestra del terrazzo di casa e si è messo ad accarezzare Perché, il suo gatto. Quindi l'ha scaraventato fuori. Dalla finestra.
Ricordo il Miiiiiaaaaoooooooooooo di Perché come abitasse ancora le mie orecchie.
"Che fai!" ho urlato. "Sete di conoscenza!", ha risposto. Voleva vedere quel che sarebbe successo.
Perché si è salvato; cadendo si è aggrappato alle chiome degli alberi, non è precipitato subito a terra, non si è fatto quasi niente. E' questa la conoscenza? Mia sorella che gonfia le guance? Un amico che defenestra gattini?
Se qualcuno dal fondo del cosmo mi sta mandando indizi affinché io lo capisca, giuro: annaspo e non capisco.
Ogni tanto leggo che non possiamo accedere a nessuna conoscenza relativa ai nostri primi tre anni di vita. Esisterebbe insomma una frazione della nostra vita della durata di circa mille giorni di cui non solo non conserviamo ricordi, ma nemmeno conoscenze. Credo sia vero, ma non è questo che m'interessa; mi interessa mio figlio: ha tre anni. Se ci ragiono, di tutto ciò che è stata la sua vita fino ad ora – ovvero, per il momento, tutta la sua vita - lui non avrà mai alcuna conoscenza.
E non dico coscienza: quella sì, qualcosa di quel tempo resterà nella sua coscienza come un indizio, una sensazione, la parte sommersa di iceberg; ma conoscenza: nulla.
Insomma, non solo non so cosa sia, la conoscenza, ma so anche che all'inizio della vita non esiste. Che inizia dal caos.
Per quel che riguarda mio figlio, che alcune cose finiscano in questo buco nero della sua conoscenza mi sembra un'ottima notizia.
Non avrà alcuna conoscenza di quella volta che inciampando si è aperto un sopracciglio centrando lo spigolo della credenza della cucina; cos'aveva, due anni? Già, due. E non avrà conoscenza della corsa in ospedale con sua madre che gli tamponava la ferita con i cerchietti bianchi e compatti di cotone struccante. Che idea geniale! Sua madre gli salva un occhio. E lui non lo saprà. Mai.
E nemmeno avrà conoscenza di quei mesi – quattro? Sei? Otto? Li sto rimuovendo pure io! – passati a vedere i nonni solo e unicamente come teste decollate e piatte, parlanti a scatti, connessi ma sconnessi dal corpo, pallidi e fatti di sorrisi digitali tutti bit, ti vedo ma non ti sento, ora ti sento ma non ti vedo, la cena di Natale con l’iPad a capotavola. Tutta solitudine di cui non avrà conoscenza. Benissimo.
Certo, là dove finiranno queste cose, si ammucchieranno anche i suoi primi mille giorni d'amore, i primi mille giorni di baci dei suoi genitori, il primo passetto, la prima parola. La prima volta in braccio, la nanna in spalla.
"Me la racconti ancora la storia del Lupo Lupone?", tutte le sere uguale. Oggi se gli chiedo: "Ti ricordi la storia del Lupo Lupone?", mi dice che non l'ha mai sentita. O quella volta che per convincerlo a smettere di far la cacca nel pannolino gli ho promesso una macchinina in dono ad ogni cacca nel water. E ne ha vinte cento. E poi io ho vinto un premio importante, come scrittore, e gliel'ho dedicato. E lui ha preso la targa e sul palco ha detto a tutti: “Papà, l'hai vinto con la cacca anche tu?”.
Dove inizierà la conoscenza di mio figlio? Quella cosa che non sappiamo cosa sia e su cui poggiamo un'intera vita: come inizierà? Potrebbe essere stato dieci minuti fa quando gli ho detto: "Scusa amore, adesso non posso giocare con te, devo scrivere un articolo" e l'ho visto andare via, con il pallone in mano. Triste.
Inizierà così la sua conoscenza del mondo? Con me che scrivo queste righe? Io sbaglierò – i genitori lo fanno sempre – ma ogni giorno guardo mio figlio e gli dico che gli voglio bene. E poi gliene do una misura.
"Ti voglio bene da qui a casa della nonna". Il giorno dopo mi spingo oltre: "Ti voglio bene da qui a in fondo alla via della nonna". "Ti voglio bene da qui a New York", gli dirò tra un po', e a Honolulu, poi. Perché il fatto di non sapere cosa sia la conoscenza forse non mi impedisce di sapere che un giorno inizia. E tutto cambia. Sta per accadere. E io vorrei che la sua, quella di mio figlio, iniziasse con me che gli dico che gli voglio bene. E sperare che un giorno lui mi dica: "Lo so papà: da qui a Timbuctù".
O tra molte migliaia di miglia e di chilometri di bene. Che gli servano come bagaglio quando la conoscenza passerà invece anche per lui da incomprensibili gatti cadenti o da altri misteri ricamati di vita.

La lingua deve essere chiara e lo slogan Pirelli è un esempio perfetto La lingua deve essere chiara e lo slogan Pirelli è un esempio perfetto