J diJourney

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In 150 anni i viaggi di Pirelli sono stati tanti. Agli inizi, quando come produttore di isolanti per cavi, ha cablato e connesso città intere come Buenos Aires, New York, San Paolo. Poi con i pneumatici per bici, moto e auto, quando negli anni del Boom economico ha continuato a muoversi sulle strade d'Italia, d'Europa e del mondo. Fino a arrivare a oggi in cui, con i suoi prodotti, Pirelli continua a viaggiare e a far viaggiare sulle strade di tutto il mondo, nella vita di tutti i giorni. D’inverno e d’estate, in qualunque stagione.
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Oltre i propri limiti

Lezioni dalla Bassa California, da Steinbeck e dalla vicinanza a casa

Quella mattina, quando raggiungemmo il confine con il Messico, nessuno di noi due avrebbe mai potuto immaginare quanto stessimo segretamente chiedendo alla penisola di Bassa California. Era trascorso un anno e mezzo senza precedenti per il nostro mondo, per il resto del mondo, e come tutti eravamo stanchi. Diversamente dagli altri, o almeno da chi conosco, quando il mondo si è spento, eravamo ancora una coppia giovane che, in poco più di un anno, aveva fatto piccoli e cauti passi verso una vita insieme. Provavamo una sorta di smisurato ottimismo e vedevamo infinite possibilità davanti a noi; tutto il tempo e lo spazio dell’universo era lì per essere esplorato.

Ma quando tutto si fermò, nel marzo 2020, l’impossibilità di viaggiare fisicamente fu solo uno dei modi con cui ci fu imposto di stare fermi. Pareva che persino le nostre vite ideali, la nostra immaginazione e le nostre speranze per il futuro fossero state sottoposte a sedazione profonda, mentre tentavamo di comprendere la nuova realtà che si era insediata in tutto il globo terrestre. Il sognare cedeva il passo al sopravvivere; qualsiasi sguardo volto al futuro fu reindirizzato all’inflessibile "qui e ora", e il rilassante spazio tra noi due era stato assorbito dall’incertezza e dallo sfinimento.

Arrivammo in Messico, necessitando tanto di più di quello che un luogo avrebbe mai potuto offrirci. Ma la Penisola di Bassa California è speciale, una striscia dritta a sud di casa nostra casa a Los Angeles, dove storicamente le persone sono sempre andate alla ricerca di qualcosa.

Nel 1941, John Steinbeck circumnavigò la penisola insieme a un amico. Fu il viaggio che gettò le basi del suo romanzo Diario di bordo dal mare di Cortez, in cui scrisse che questa penisola esercita su ogni singolo individuo un’inspiegabile «spinta a ritornare. Se fosse un luogo lussureggiante e prospero, questa spinta sarebbe comprensibile, ma si tratta di un posto spietato, ostile e crudo.» Non aveva torto. Abbiamo passato il confine, costeggiando Tijuana, diretti a Capo di Punta Banda, un lembo di terra quasi disabitato con meravigliose viste sul mare. Procedendo lungo la costa verso sud, la frastagliata terra riarsa sulla sinistra contrastava con l’acqua cerulea e cristallina dell’oceano Pacifico sulla destra. Le nuvole, basse e stratificate, nascondevano il cielo blu e mitigavano il sole. Ensenada, il rugginoso porto che abbiamo attraversato per raggiungere la casa in cui avremmo pernottato, era un chiassoso altoparlante di una località che, a ogni incrocio sempre caotico, ad ogni occhiata sulle stradine laterali costellate di misteriose insegne e vetrine e con tutta quella musica che bombardava il nostro pickup non appena rallentavamo abbastanza per sentirla, ci ricordava inesorabilmente che non eravamo più negli Stati Uniti. Entrambi viviamo per questa sensazione: essere lontani da casa e non avere il pieno controllo di ogni cosa. In tempi normali è una sensazione che proviamo abbastanza regolarmente. Ma non erano tempi normali e non avevamo pensato che, questo sentirsi un po’ sulle spine in un posto nuovo, era una delle cose che eravamo venuti a cercare in Messico.

«L’aria qui è miracolosa e delinea il cambio della realtà sul momento» scrisse Steinbeck. «Un sogno avvolge l’intera regione, un assorto tipo di allucinazione.» Quando giungemmo alla casa, capii. Le nuvole si erano aperte e allontanate e il sole si riversava su tutta la baia. Gettai un’occhiata al mio orologio da corsa e vidi che la mia frequenza cardiaca era più lenta; rispetto a quando ero a Los Angeles era scesa di venti battiti al minuto. Pensavo che l’orologio stesse andando male, ma ogni volta che controllavo, mi ripetevo la stessa cosa: «la tensione sta mollando e l’eventualità di rilassarsi è forse più che una mera illusione.»

Il giorno successivo ci incamminammo lungo uno stretto sentiero che costeggiava l’interno di un’insenatura, quasi fosse una piega su un tessuto, e scendeva gradualmente verso l’acqua profonda e verdeazzurra. Per tutto il tempo della camminata non vedemmo nessuno, solo noi due. Quando raggiugemmo le pozze d’acqua lasciate dalla bassa marea, tornammo bambini. Stelle marine rosso brillante, anemoni arancioni e verdi fluorescenti e frenetici crostacei punteggiavano il nero fondale roccioso. Inerpicandoci da una pozza all’altra, la nostra attenzione fu attirata da una coppia che passeggiava proprio di fronte a noi, intenta a scorgere il guizzo di qualche creatura marina e a prendere il sole. L’alta marea, che si stava preannunciando con una serie dopo l’altra di onde fragorose, fu l’unica forza abbastanza potente da riportarci sul sentiero per casa. Anche lungo la salita, che portava in cima all’insenatura, la mia frequenza cardiaca continuava a rimanere bassa.

Steinbeck descrisse l’intensa sensazione che sopraggiunge nell’istante in cui si comprende «che tutte le cose sono una cosa sola e che quell’unica cosa è il tutto»; dalla più piccola creatura marina fino all’universo che si espande nello spazio e ai pianeti sopra di noi «tutto è tenuto insieme dalla corda elastica del tempo.» Questo era ciò a cui pensava lo scrittore e che annotò mentre costeggiava l’aspro litorale della Penisola della Bassa California. «Consiglio,» scrisse, «di alzare lo sguardo dalla bassa marea alle stelle e poi di riabbassarlo di nuovo verso l’acqua.»

Eravamo rimasti bloccati a Los Angeles per oltre diciotto mesi prima di partire per il Messico. Era passata un’eternità, dall’ultima volta che uno di noi due fosse rimasto così a lungo senza viaggiare, senza provare la sensazione di spaesamento data da un luogo nuovo, senza quel sentirsi piccoli difronte al mondo gigantesco. Nei viaggi fatti da soli avevamo sperimentato che queste sensazioni erano tanto più forti, quanto più lontano da casa andavamo. Ma questa volta eravamo insieme. Questa volta eravamo solo a poco ore a sud dalla nostra porta di casa. Questa volta stavamo via solo per tre notti, senza passare per aeroporti, senza cambiare fuso orario. Non abbiamo avuto bisogno di andare tanto lontano per cambiare i nostri confini personali della realtà. Anzi, rimanendo più prossimi a casa e guardando un po’ più da vicino, abbiamo visto schiudersi tutto il nostro piccolo universo.

La lingua deve essere chiara e lo slogan Pirelli è un esempio perfetto La lingua deve essere chiara e lo slogan Pirelli è un esempio perfetto