La preparazione psicologica per una regata oceanica
Poche competizioni sportive richiedono l'attenzione e la costanza necessarie durante una regata sulle onde dell'oceano. Se gli imprevisti sono sempre dietro l'angolo vuol dire che non ci si può concedere cali di concentrazione o momenti di scarsa lucidità. Bisogna provare a ridurre queste fasi precarie al minimo: una condizione praticamente indispensabile per poter arrivare fino in fondo in una regata oceanica. Sarà l'obiettivo di Ambrogio Beccaria a bordo della sua “Alla grande”, in una gara in cui avrà bisogno prima di tutto di serenità e compostezza prima di ogni altra cosa, e poi un pizzico di fortuna che non fa mai male in ogni sport.
Le regate oceaniche sono gare di resistenza, fisica e mentale. Per questo la preparazione psicologica ha almeno la stessa importanza di quella atletica. In una gara di endurance, sulla lunga durata, il numero di variabili che possono incidere sull'esito della competizione è sconfinato, c'è bisogno di persone che sanno mantenere un livello ottimale di lucidità. «Ogni atleta, ogni individuo ha dei punti di attivazione in cui raggiunge il meglio di sé», spiega Paolo Benini, psicologo dello sport, che da tempo lavora anche con la Federazione Italiana Vela. «Riportando tutto alla filosofia zen – aggiunge Benini – è un po' come l'arte di pensare e non pensare. Uno stato di flow. Un atleta è chiamato a mantenere per più tempo possibile questa condizione a un punto ottimale, che è ovviamente ottimale per lui e solo per lui, un punto in cui i processi decisionali sono sempre al massimo».
Un errore comune è pensare di dover viaggiare molto alti a livello emotivo e psicologico, ma non è proprio così. «Si rischia di andare incontro a saliscendi imprevedibili: sia quando andiamo molto alti, sia quando andiamo molto bassi rischiamo di commettere errori di valutazione e di applicazione», dice Benini. Per ogni individuo, prima ancora che per ogni atleta, la performance di picco è data da un'equazione molto semplice: al potenziale individuale vanno sottratte tutte le interferenze, tutti quei fattori esterni e ambientali, o interni, quindi pensieri, sensazioni e stati d'animo, che disturbano il libero flusso della coscienza. Quando uno sportivo entra in questo stato raggiunge quel punto di picco in cui è più performante. Questo richiede ovviamente allenamento, che però è una preparazione anche delle sensazioni e degli stati d'animo, un provare a conoscersi e capire quali meccanismi psicologici possono essere d'aiuto nei momenti di difficoltà.
Gli esercizi di respirazione, ad esempio, i più basilari e comuni, possono essere uguali per tutti i velisti, ma non hanno valore universale. Respirare correttamente influenza la risposta emotiva e fisiologica agli eventi da affrontare, ed è quindi sempre la prima delle strategie vincenti. Un'altra forma di allenamento sono i processi di visualizzazione: usare l'immaginazione, la fantasia, per prevedere scenari probabili, o magari figurarsi condizioni ottimali verso cui andare mentalmente. Può essere utile tenere un diario in cui annotare tutti gli stati che si attraversano. Ma, per fare un altro esempio, la musica potrebbe essere d'aiuto, con delle playlist in grado di attivare le condizioni mentali giuste.
«Prima di tutto, un atleta deve avere un'altissima convinzione di autoefficacia, quindi avere idea di possedere competenze e capacità di poter fare bene in questa competizione, pensare di essere competenti per fare il lavoro a cui sono chiamati», dice Benini. Quando parla di autoefficacia, però, specifica: «Non è autostima, che è un senso generale di sé, l'autoefficacia invece è limitata al fare, all'atto pratico: nessuno arriva in cima all'Everest senza pensare di poterlo fare. Poi magari è convinto di poterlo fare ma succedono delle cose per cui non riesce, ma è un altro discorso».
Mescolando l'allenamento psicologico con la parte atletica, è importante imparare a regolare il sonno. La soluzione adottata da molti velisti impegnati in regate così lunghe è suddividere l'ideale sonno notturno in pennichelle più brevi, chiamate microsonni. Sono momenti di sonno che durano dai 10 ai 30 minuti – possono variare in base alle esigenze personali di ognuno, al tipo di imbarcazione, alla zona di navigazione o alla regata.
«Studiare i propri cicli di sonno può aiutare a vincere una gara di questo tipo – spiega Benini – dove è chiaro che non ci sono dormite lunghe come il sabato mattina. Bisogna trovare dei microsonni nel proprio punto ottimale, di solito è per qualche ora intorno alla mezzanotte. Poi ognuno ha la sua periodizzazione». Un atleta per esempio potrebbe aver bisogno di apprendere delle modalità di autoinduzione, con tecniche di rilassamento che facilitano il processo di innesto di sonno, che è un ristoro fisico ma anche psichico.
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