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La rivalsa del pensiero generazionale

"Amiamo le belle storie su chi siamo e chi non siamo", afferma il ricercatore sociale Bobby Duffy, sottolineando il fascino seducente delle etichette generazionali di cui si parla quotidianamente nei media.

Naturalmente, le storie che si fanno beffe delle diverse generazioni (definendole "pigre" o "ipersensibili") tendono a catturare la nostra attenzione e a suscitare divertimento.

Tuttavia, in qualità di sostenitore del valore dell'analisi della società in termini di generazioni (un'attività accademica che ha impegnato alcuni dei più grandi sociologi e filosofi del mondo), Duffy, professore di etica pubblica presso il King's College di Londra, teme che "terribili miti, stereotipi e luoghi comuni" sulle generazioni stiano causando inutili divisioni e distraendo dai problemi del mondo reale.

Divisioni artificiali

Prendiamo come esempio il cambiamento climatico. In base a quanto sostengono i media, si potrebbe pensare che i più anziani si preoccupino meno del riscaldamento globale rispetto ai giovani. Tuttavia, uno studio condotto nel Regno Unito nel 2021 dal Policy Institute del King's College di Londra (di cui Duffy è direttore) e dalla rivista New Scientist ha rilevato che le diverse generazioni concordano ampiamente sulla necessità di agire.

Concentrarsi sulle differenze è quindi potenzialmente "molto pericoloso", ha detto Duffy in un discorso al TEDxNewcastle nel 2022, "perché abbiamo bisogno che le persone facciano fronte comune su tematiche quali il cambiamento climatico, ma non facciamo altro che dividerle artificialmente attraverso linee generazionali e di età".

Allo stesso modo, i giornali sono inclini a fomentare il conflitto generazionale su questioni sociali e culturali (con critiche alla "generazione woke" e ai "guerrieri della giustizia sociale") ignorando il fatto che l'atteggiamento nei confronti di questioni come la razza, l'immigrazione, l'uguaglianza di genere e l'identità cambia con ogni generazione per numerose ragioni.

Ad esempio, se nella Gran Bretagna della metà degli anni Ottanta si fosse chiesto alle persone se le donne dovessero rimanere a casa e gli uomini andare a lavorare, il 60% degli appartenenti alla generazione prebellica sarebbe stato d'accordo, mentre solo il 30% dei giovani adulti condivideva questa opinione. È più probabile che i giovani si sentano a proprio agio nel contestare le norme sociali poiché non sono cresciuti con quelle preesistenti.

Andare avanti

Nel frattempo, nel corso della storia, le generazioni più anziane hanno sempre avuto la tendenza a criticare i giovani, che si trattasse del loro comportamento, delle loro maniere o dell'etica del lavoro. Tuttavia, secondo Duffy, non serve preoccuparsi: "La tensione generazionale è necessaria per far progredire la società. Se così non fosse, non potremmo andare avanti. Non è un caso che alcuni grandi pensatori, come il filosofo francese Auguste Comte, abbiano posto il ricambio generazionale al centro del cambiamento sociale. Invecchiando, rimaniamo bloccati con le nostre idee, ma i cambiamenti della società ne richiedono invece di nuove".

È necessaria una comprensione più approfondita delle forze in gioco nel cambiamento della società. Duffy individua tre (distinti) meccanismi.

Gli "effetti di coorte" riguardano le idee, i comportamenti e le convinzioni che accomunano le persone di una determinata generazione.

Gli "effetti periodici" sono eventi che coinvolgono e colpiscono tutti: ad esempio, il boom economico del secondo dopoguerra, la crisi finanziaria globale del 2008 o la pandemia da Covid-19, nonché le tendenze relative a mode e norme sociali, generalmente più lente.

Gli "effetti del ciclo vitale" derivano dall'inevitabile processo di crescita e invecchiamento che tutti noi attraversiamo nelle diverse fasi della nostra esistenza.

Le generazioni sono influenzate da tutti questi fattori, "eppure le nostre analisi si fermano di solito agli effetti di coorte, dandoci appena un terzo del quadro complessivo di ogni generazione", sottolinea Duffy. È così che si sono sviluppati gli stereotipi generazionali, alimentati oggi da media frammentati e poco strutturati che spesso sfruttano la tendenza di informazioni controverse a viaggiare più lontano e più velocemente, e da modi di vivere che limitano sempre più frequentemente i contatti tra anziani e giovani, esacerbati dall'ascesa della comunicazione digitale.

Un reale cambiamento sociale

Sfruttando un contesto ricco di informazioni, è più semplice sfatare alcuni miti generazionali. Nonostante esista il divario digitale tra i Baby Boomer (età attuale compresa tra 59 e 77 anni) e la generazione Z (età attuale tra gli 11 e i 26 anni), ad esempio, non sorprende che ciò derivi dalla loro esposizione relativa alla tecnologia, piuttosto che da un'incapacità da parte dei Boomer.

Gli appartenenti alla generazione X (età attuale tra i 43 e i 58 anni) sono cresciuti in un ambiente economico più difficile di quello dei loro genitori, per cui definirli "fannulloni" non sarebbe corretto.

Sebbene i Millennial (età attuale tra i 27 e i 42 anni) possano lavorare meno ore rispetto alle generazioni precedenti, lo stesso vale per il resto di noi. "Non c'è nulla che suggerisca che siano pigri o privi di ispirazione", osserva Duffy, "se non la memoria difettosa di coloro che non sono più così giovani".

La missione di Duffy, raccontata nel suo libro The Generation Myth, consiste quindi nel liquidare la maggior parte delle analisi generazionali come un "mix di falsi conflitti e di un approccio quasi astrologico", tenendo invece in considerazione un quadro più ampio fornito dai riferimenti generazionali e dalle intuizioni che essi rivelano.

"Così come l'anno di nascita definisce chi siamo", sottolinea, "le generazioni cambiano la società".