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Dalla strada alla pista secondo Karl Abarth

Storia e segreti dell'uomo che 70 anni fa fece della trasformazione la sua parola d'ordine. Imponendosi al mondo dell'auto con un concetto semplice e straordinario: far diventare sportiva qualsiasi utilitaria, pilota ogni automobilista

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La competizione nelle vene, un intuito brillante e una passione inesauribile per la tecnica: Karl Abarth era già un volto noto del motorsport in tutta Europa quando, nel 1949, decise di costruire auto che portassero il suo nome. Dalle corse sul monopattino di quando era ragazzino, alle vittorie mondiali delle macchine da lui modificate, Abarth non ha mai smesso di fare quello che gli riusciva meglio: avere un'idea geniale dopo l'altra e trasformarle in realtà. Fu così che, dovendo dire addio alle gare di moto e di sidecar a causa di due incidenti, poté dimostrare di avere la stoffa dell'imprenditore, oltre che del pilota e dell'ingegnere. Con la Abarth & C., l'eclettico Karl che negli ultimi anni si era italianizzato in Carlo, poté approfondire la sua passione per le automobili e mettere definitivamente a frutto il proprio talento nella meccanica. Partì recuperando alcune auto da corsa dalla scuderia della Cisitalia, fallita lo stesso anno, e diede vita a una tradizione di velocità che non si è più spenta.

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L'intuizione di Abarth fu quella di distinguersi dalle altre officine, inventandosi una specializzazione tutta sua: l'elaborazione sarebbe stata la sua cifra, che avrebbe reso le vetture Abarth uniche e riconoscibili. Le Marmitte Abarth inaugurarono la loro storia con il kit per la trasformazione della Fiat Topolino, che conferì un inedito rombo all'impianto di scarico dell'auto, oltre ad aumentarne la potenza. È questa la direzione che il marchio di Abarth decise di imboccare per creare la propria identità: prendere una Fiat, una Lancia, un'Alfa, e da piccola e mansueta renderla piccola e aggressiva. Renderla, insomma, uno scorpione Abarth.

Aggressività e velocità non potevano non tradursi in una storia di successo nel mondo delle corse, che proseguì anche dopo la scomparsa del genio dell'elaborazione. Settant'anni fa, Karl Abarth seguiva la stessa filosofia che Pirelli ha inaugurato nel 1907: from race to road, cioè la capacità di tenere legati questi due mondi, utilizzando le tecnologie di uno nell'altro e le medesime competenze e passione. La prima auto derivata da una Fiat di serie fu la 750 GT del 1955, che sorprese per i suoi numerosi trionfi sportivi alla Mille Miglia e sul circuito di Monza. Ma è negli anni Settanta che le Abarth lasciarono la loro impronta più significativa nell'immaginario collettivo connesso al motorsport. Dopo l'acquisizione nel 1971, è Abarth a far correre e a far vincere le auto da rally della Fiat, equipaggiate con pneumatici Pirelli, nelle più importanti competizioni della categoria. La Fiat 124 Abarth Rally, presentata nel 1972 al Salone di Torino, fu protagonista delle gare rallistiche fino al 1975, collezionando quattro secondi posti a livello mondiale e guadagnandosi l'oro in diverse competizioni nazionali ed europee; sempre a inizio anni Settanta spiccò per la sua maneggevolezza la Fiat X1/9 Abarth Rally, che non rimase a lungo sui percorsi di gara ma ottenne comunque alcune vittorie importanti; nel 1975 comparve invece la Fiat 131 Abarth Rally, che conobbe il suo apice nel 1977 e dominò la scena fino al 1982 conquistando due campionati del mondo piloti e tre campionati del mondo costruttori; con l'ambizioso obiettivo di sostituire la Fiat 131 arrivò la Lancia 037, che fu l'ultima auto da rally a vincere un mondiale con due ruote motrici; sempre da casa Lancia, poi, la collaborazione con Abarth proseguì con la leggendaria Delta S4. Nel frattempo, un'altra leggenda della velocità stava prendendo forma sui cerchi della rabbiosa Delta: fu proprio questo modello a indossare per la prima volta quello che sarebbe diventato il primo P Zero. Ma questa è un'altra storia.