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Pirelliani a Milano

Ci sono, è chiaro, città fatte per essere vuote, come Roma che deserta è bellissima, e altre che senza persone non hanno senso: Milano. La pandemia ce l'ha dimostrato: Milano dà il suo meglio nell'accogliere persone, si trova bene con le file, con quelli che oggi si chiamano “assembramenti”.

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Certo, ad arrivare, Milano un tempo faceva un po' paura: metropoli grigia (quando c'era la nebbia, prima del global warming); e piena di gente, appunto, gente indaffarata, che veniva a Milano a giocarsi le sue carte, gente un po' frettolosa, gente piena di speranze. Il “Pirellone”, davanti alla stazione Centrale che accoglieva i nuovi arrivati come un tempio egizio o assiro-babilonese, è da sempre un faro: faro e indicazione per chi arrivava e si doveva districare nella città del progresso, quando ancora c'era la nebbia. Il 2 luglio 1956 i due fratelli Alberto e Piero Pirelli posero la prima pietra lì dove già stavano gli stabilimenti. Disegno di Gio Ponti, anima di cemento armato di Pierluigi Nervi, due lombardi da esportazione. Quel grattacielo imitatissimo (vedi il Pan Am a New York) e velocissimo (lavori durati solo quattro anni), scriverà Ponti su Domus, rappresenta “forma finita, essenzialità, rappresentatività, espressività, illusività, aggiornamento tecnico, onore al lavoro e incorruttibilità”, una ricetta che sembra un inno alla lombarditudine.

E anche oggi vale ricordare altri appuntamenti con la storia che hanno a che fare col faro pirelliano: nel 1970 nacquero le regioni. Piero Bassetti diventa primo presidente della Lombardia (si diceva ancora “presidente” e non “governatore”, e davanti a Regione si metteva l'articolo) e cercherà una sede acconcia per la sua, che subito si sente più regione delle altre; con l'afflato al design che la caratterizza si butterà su un logo, un brand, che a differenza degli altri non comporta blasoni o corone o torrioni, ma un simbolo essenziale, la Rosa Camuna, diventata simbolo di persone, persone al lavoro, disegnata da un consorzio di cervelli milanesi e globali che rappresenta la Milano di quegli anni: tra gli altri Bruno Munari, e Bob Noorda.

Ma indietro, nel 1957, iniziava a Milano anche la costruzione della prima metropolitana d'Italia, “la rossa”, con disegno di Franco Albini e Franca Helg, grafica e lettering coordinate di Noorda, e lì geniali invenzioni per trasportare meglio le persone: un alfabeto inventato per l'occasione, opaco, per avere la massima visibilità; un fascione rosso continuo che seguendo l'intero percorso funge anche da guida verso i treni e l'uscita. Poi copiato nelle metropolitane di New York e San Paolo (“sempre sotto terra a studiare, i colleghi mi chiamavano la talpa”, dirà Noorda). Nello stesso anno, in viale Regina Giovanna i milanesi possono entrare nel primo supermercato italiano: nasce l'Esselunga. Perché le persone producono, guadagnano, consumano (è il vecchio adagio del “lavoro guadagno pago pretendo”). Sono anche gli anni di Carosello (sempre '57) e Milano, con la sua piazza del Duomo, diventa un sogno commerciale coi cartelloni pubblicitari. Nel film “Susanna tutta panna”, di Steno, i titoli di testa scorrono su piazza del Duomo e i suoi cartelloni pubblicitari. Anche il film è un inno all'umanità milanese: un industriale non dorme la notte perché non riesce a carpire la ricetta di una famosa torta di panna. Ogni città fa i sogni che si merita. Anche il Pirellone diventa un'enorme vetrina per i prodotti Pirelli: non solo gomme, ma borsa dell'acqua calda, canotti, palline da tennis. Faro e vetrina, dunque, e sogni: siam pur sempre a Milano.

Alla sua ombra, sogni per tutti, per milanesi e per milanesi di fuori, come in “Sessomatto”; il film di Dino Risi del '73 dove giovani sex worker pugliesi allignano sotto i grattacieli della non ancora costruita Porta Nuova. E avranno calpestato coi tacchi a loro insaputa gomma Pirelli anche nella neonata metropolitana. Il pavimento a bolle in gomma è infatti un'altra trovata Pirelli. E' ancora lì, in tutte le fermate della “rossa”. Primo caso di utilizzo di rivestimento tra tutte le metropolitane europee. Si racconta che, per testare la resistenza della nuova mescola scelta, un campione fu collocato davanti all'ingresso delle operaie della Pirelli. Nemmeno i tacchi femminili lo scalfirono.

Ma i tacchi hanno un posto speciale nell'identità pur molto maschile di Pirelli: naturalmente all'avanguardia anche in tempi molto meno fluidi era il tacco rosso di Carl Lewis, l'uomo più veloce del mondo, che cammina sulle acque fotografato da Annie Leibovitz nel 1994 per la celeberrima e scandalosa campagna di “La potenza è nulla senza controllo”. Avanti almeno vent'anni sulle tematiche odierne identitarie e sui diritti. Come sarà all'avanguardia il calendario Pirelli che negli anni si trasforma in prodotto massimamente chic per appassionati: nato nel 1964, nel 2018 metterà in scena, abbandonati i celebri nudi, una rivisitazione della fiaba di Alice nel paese delle meraviglie con protagonisti tutti di colore con Whoopy Goldberg, Ru Paul, Naomi Campbell.

Che fosse dall'alto del Pirellone o dal basso della metropolitana, il marchio Pirelli ha accompagnato e sorvegliato insomma la dimensione di Milano, la città degli umani per eccellenza, per tutto il Novecento. “La potenza è nulla senza controllo” è un claim che andrebbe benissimo anche per i milanesi, del resto.

Milano non è New York, ma il flusso degli umani è simile, e qualcuno si ricorderà che quando prima del Covid la città era arrembante, i giovani arrivavano, i romani soffrivano, tutti stavamo lì ad ammirare ed invidiare la città che con l'Expo si era finalmente ripresa, e però bullizzava un po' il resto d'Italia. C'era infatti anche una specie di sovrappiù, quel po' di sicumera dei milanesi che quando le cose gli van bene perdono un po', ecco, il controllo.

Poi Milano venne tramortita dalla pandemia, e sembrò quasi una punizione divina, l'invidia degli dei. Anche il suo modello di sviluppo è stato messo in discussione: meno grattacieli e più verde, si dice oggi, e arrivare nel quartier generale Pirelli a Bicocca sembra una specie di distopia o utopia realizzata, pare già un ufficio del futuro, con tantissimo verde intorno. A ricordarmi che non è sogno ma solida realtà è il tampone che mi viene fatto prima di entrare in un efficientissimo ambulatorio. “E se fosse stato positivo?”, chiedo. “Ah, l'avremmo fatta uscire immediatamente da quell'altra porta”, mi dice la solerte addetta. Una botola tipo “Deposito di zio Paperone”. Poi mi spiegano che l'ambulatorio è aperto a tutti i dipendenti, che si possono curare e testare a volontà, e anche questo è una cosa che non ti aspetti. O forse sì, da una grande azienda milanese-globale. Ma Milano non è la Silicon Valley: anche se questo sembra davvero un campus tipo i vari Google e Facebook: il verde, appunto, e poi edifici trasparenti, perfino corsi di mindfulness e yoga e una mensa aperta su ampi pascoli (però, nel giardino, la vecchia gloriosa Bicocca degli Arcimboldi, con la parola “dovere” stampigliata ovunque in sala da pranzo, ricorda che siam pur sempre a Milano, e non a Palo Alto).

Lì tra lucidi edifici futuristici e il castello medievale alligna il Pirelliano; poche grandi storie di impresa hanno dato vita a un neologismo e a una tribù, ci sono “gli olivettiani”, che sembrano un ordine cistercense, e poi i pirelliani, magari meno celebri, e però definiscono un'umanità precisa, milanese ma internazionale, legata alla tradizione ma anche all'innovazione, con un occhio all'estero ma molto radicata nella propria dimensione soprattutto umana, ecco. Nell'ordine dei Pirelliani spicca la figura dei Maestri, figure che insegnano la loro esperienza ai più giovani. E in questa cattedrale mista di antico e moderno non può mancare una biblioteca, una biblioteca aperta a tutti i dipendenti, che contiene non solo testi di impresa ma romanzi, cataloghi d'arte, e libri per bambini.

E lì, a fare la guardia, non un cagnone ma l'enorme gatto gommoso Meo Romeo, disegnato da Bruno Munari, che mentre faceva il simbolo della Lombardia inventava anche giocattoli. “E' necessario che l'artista abbandoni ogni aspetto romantico e diventi uomo attivo tra gli uomini, informato sulle tecniche attuali, sui materiali, e sui metodi di lavoro”, scriveva. Munari per Pirelli fece un sacco di cose: i giocattoli in gommapiuma armata, il gatto e la scimmietta “Zizi”, grazie alla quale vince il Compasso d'Oro. Nel 1952 diventa direttore artistico dei giocattoli “Pigomma”. Anche lui è perplesso dalla dimensione della colossale Pirelli: “vorrei anche sollecitare questa produzione ma, come faccio io in quell'enorme complesso di stabilimenti grande, come un paese, dove si muovono interessi grossi, io, Bruno Munari, dal peso di quarantotto chili, non mi sento di disturbare tanto lavoro e aspetto il mio gatto, all'angolo della strada, assieme a tanti bambini che mi hanno chiesto se per Natale lo possono avere”.

E il contrasto c'è, tra la multinazionale tecnologica e un aspetto anche giocoso e molto umano: così, nella severa hall del quartier generale, ecco in bella vista il mescolatore, come se fosse un'opera d'arte pop, messo lì, col suo colore rosso, come appunto un giocattolo, per ricordare da dove si arriva, anche oggi che Pirelli si concentra sul futuro fatto di gomme specialissime per macchine elettriche e che un giorno si guideranno da sole (a proposito, pare che uno dei problemi maggiori sia la troppa accelerazione delle nuove auto elettriche, che consuma il battistrada: di nuovo, la potenza è nulla senza controllo).

E il mescolatore sta proprio sotto un'altra cosa che in Silicon Valley non hanno: una torre, una enorme torre di raffreddamento, collocata come un grande objet trouvé in una enorme teca nel complesso disegnato da Vittorio Gregotti. E fuori, in questo distretto della gomma, per addolcire il tutto, come uno scherzo, ecco la fabbrica Haribo di gomme edibili. Simboli, tanti simboli, di ciò che Pirelli è stata, basta guardare la leggendaria rivista Pirelli, su cui hanno scritto Buzzati e Montale, e Gadda, e i reportage di Mulas, Roiter, Sellerio e le illustrazioni di Guttuso e Mendini. Negli archivi, tre chilometri lineari di documenti, e foto, e manifesti, i migliori cervelli milanesi che crearono il layout del boom: e anche l'ultima pubblicità del celeberrimo Cinturato è un'opera d'arte degna d'essere esposta al Pirelli HangarBicocca, (ma non diciamolo al rigoroso direttore Vicente Todolì).

Già, perché c'è pure un museo, quello mica ce l'hanno in Silicon Valley: il Pirelli HangarBicocca, gigantesco antro ove una volta si facevano i treni e oggi invece si tengono fondamentali mostre, tutte gratuite, rarità tra i musei privati milanesi e italiani, e tra un artista cinese e uno africano ecco i sette palazzi celesti di Anselm Kiefer. Sette torrette di guardia sulla storia, che se ne stanno lì come piccoli Pirelloni a guardare cosa succede di sotto, tra la città e la fabbrica, e soprattutto l'umanità, l'umanità di Milano e del mondo.