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Chi riduce il gender gap delle materie Stem si assicura lo sviluppo economico del futuro

Sono ancora troppo poche le donne che scelgono professioni scientifiche. Questo significa non sfruttare risorse fondamentali e allontanare la parità di genere. Ne è convinta Chiara Corazza, rappresentante del G7 e del G20 per il Women's Forum for Economy&Society

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Uno degli ambiti accademici e lavorativi in cui, purtroppo, la differenza di genere è ancora molto evidente è quello delle materie Stem, acronimo inglese di Science,  technology, engineering and mathematics (Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica). Molte donne faticano a intraprendere questa strada, per una serie di ostacoli, barriere e pregiudizi, e più si arriva ai vertici di aziende e istituzioni scientifiche, più la situazione peggiora, in termini di rappresentanza e di opportunità. In un mondo attraversato da grandi cambiamenti, questa situazione è insostenibile per tantissime ragioni. Pirelli.com ne ha discusso con Chiara Corazza, rappresentante speciale del G7 e del G20 per il Women's Forum for Economy&Society e rappresentante della Francia per Empower Alliance, che nel 2020 ha ricevuto il titolo di Ufficiale dell'Ordine della Stella d'Italia, un'onorificenza concessa dal presidente della Repubblica agli italiani all'estero con speciali meriti nella promozione dei rapporti di amicizia e collaborazione fra l'Italia e gli altri paesi.

Nelle dieci raccomandazioni da voi inviate ai leader del G20, le prime due riguardano il gender gap nelle materie Stem e chiedono investimenti e programmi di formazione in merito. Perché questo tema è così importante?

«Siamo in un mondo in piena trasformazione: non conosciamo ancora l'85% dei mestieri del futuro, dobbiamo inventarli e reinventare il nostro modo di agire, di consumare e persino di pensare. Non è una questione di genere, sono sfide da affrontare tutti insieme a tutti i livelli e in tutti i settori. È inimmaginabile che la metà del Pianeta non sia pienamente associata e non contribuisca a determinare in che tipo di mondo vogliamo vivere. Prendiamo un tema come le città del futuro: come possiamo affrontare questa grande questione senza ascoltare la voce delle donne? Le donne attive nel settore delle costruzioni oggi sono il 13%, nel mondo tech meno del 25%, le ingegnere sono il 20% e solo l'11% degli impiegati nella cyber security è donna. Al top la situazione peggiora ancora: appena il 2% delle donne arriva ai vertici della finanza, per dire. Per questo è essenziale far interessare le ragazze e le donne nelle materie Stem, e poi sostenerle nel loro percorso, dalle elementari ai consigli di amministrazione».

Quanto è importante il ruolo dell'educazione, in tutto questo?

«Per superare i pregiudizi e gli stereotipi il ruolo dell'educazione è fondamentale. Basta guardare i giocattoli: perché ai bambini maschi vengono dati giochi per costruire, per scoprire, per spaziare, mentre alle bambine si regalano bambole da accudire, si insegna loro a curare, a mettere in ordine, a stirare. Genitori e maestri devono dare le chiavi del successo alle bambine esattamente come ai bambini, offrendo loro le stesse competenze e soprattutto le stesse opportunità. Un altro elemento essenziale consiste nello spiegare alle ragazze che i mestieri Stem aprono le porte alla possibilità di rendersi utili: se per il 72% delle ragazze è importante nella vita avere un impatto sociale e ambientale positivo, solo il 37% si accorge del ruolo delle Stem nella creazione di un mondo migliore, a partire dalla transizione energetica e dalla lotta contro la crisi climatica, che sta tanto a cuore alle giovani donne».

Quali sono i pregiudizi e gli ostacoli ancora oggi esistenti per le donne nella scienza?

«Uno dei pregiudizi che mi colpisce di più è questo: nel 2021, nei paesi del G7, 4 persone su 10 (donne e uomini) sono convinte che il cervello degli uomini è portato per i mestieri scientifici e quello delle donne per quelle letterarie. Non stupisce quindi, purtroppo, che il 32% delle ragazze che vogliono accedere ai mestieri detti Stem si senta dire che non sono dotate e che è meglio che lascino perdere. Mancano modelli di donne che invogliano a scegliere studi Stem, oppure, quando ci sono, non vengono valorizzati abbastanza. Continuano a esserci difficoltà per le studentesse con giurie dominate da uomini a essere selezionate, ma soprattutto, e questo è il fatto più grave, le donne non si sentono abbastanza attratte da questo tipo di studi, poiché non sempre ne colgono l'importanza».

Qual è la sua posizione sull'eterna questione delle quote rosa?

«Faccio parte della generazione che è stata nominata nei consigli di amministrazione prima dell'arrivo delle quote: non sono quindi una quota women, per riprendere un'espressione famosa. Tuttavia sono convinta che le quote siano un acceleratore indispensabile senza il quale non si progredisce. La Francia è diventata numero uno al mondo per donne nei consigli di amministrazione passando dal 10% nel 2011 al 46% nel 2021, perché la legge Copé-Zimmermann (che impone una quota di genere del 40% per i consigli di amministrazione, ndr) l'ha reso obbligatorio. Anche l'Italia è un esempio di successo mondiale con il successo della legge Golfo-Mosca (secondo l'ultimo rapporto della Consob, nei consigli di amministrazione delle aziende quotate, le donne nel 2020 erano il 42,8%, ndr). Ora bisogna avere il coraggio di dare degli obiettivi ambiziosi anche alla promozione di donne nei comitati esecutivi e avanzare decisi verso lo Zero gender gap».

Quanto e in che modo la nostra società beneficerebbe della parità di genere nel mondo educativo e lavorativo legato all'area Stem?

«Basta guardare i numeri: se arrivassimo alla parità di genere nelle Stem entro il 2050, avremmo una crescita supplementare del Pil europeo tra i 650 e gli 820 miliardi. L'inchiesta che abbiamo realizzato con Ipsos nei paesi del G20 dimostra fra l'altro che l'opinione pubblica è cosciente dei vantaggi di avere più donne attive nei mestieri Stem: l'80% degli intervistati dichiara che se le donne avessero un migliore accesso al mercato del lavoro delle imprese nel settore delle Stem, si vedrebbe un impatto positivo sulla società e sulla crescita economica».

Cosa sta facendo l'Italia, e cosa invece non sta facendo ma dovrebbe fare?

«Vivo in Francia da quasi 40 anni e non mi permetto di giudicare l'Italia. Con la mia visione internazionale posso dire che l'Italia, durante la presidenza del G20, è stata veramente esemplare nel permettere alla parità di genere di progredire. Per quanto riguarda le Stem, sono state identificate come una priorità nella dichiarazione finale dei venti capi di stato e di governo, e sono fiera di aver portato un mio contributo e delle proposte che cominciano a farsi strada. L'Italia è molto più avanzata di quanto si pensi e, con il 31% di donne impiegate nel cloud computing, ha la percentuale più alta di Europa. Il Politecnico di Milano, che non a caso ho scelto come partner accademico, si distingue nella capacità di attirare sempre più studentesse. Direi che l'Italia sia nel pubblico sia nel privato sta facendo molto. Mi piacerebbe che più talenti femminili italiani nel mondo Stem rimanessero in Italia: ci sono tantissime formidabili donne italiane attive all'estero, dove portano le loro ricerche, la loro innovazione e la loro genialità in paesi che offrono condizioni di lavoro più favorevoli».

In Italia solo il 39% dei ricercatori accademici e il 12% dei membri delle accademie scientifiche nazionali sono donne. Quando arriveremo a una cifra vicina al 50-50 e cosa ancora deve cambiare per arrivarci?

«Dobbiamo creare le condizioni favorevoli: raggiungere l'uguaglianza negli stipendi dei ricercatori donne e uomini, avere giurie miste di selezione, incentivare alle candidature di donne, e perché no, attivare incentivi finanziari alle accademie che fanno più progressi nella gender equality. I talenti femminili ci sono. Bisogna soltanto dare loro l'opportunità di esprimersi e di portare il loro contributo, un valore aggiunto a un mondo che ha bisogno più che mai del talento di tutte e tutti».