Oltre lo sport: il bob | Pirelli

Oltre lo sport: il bob

 

Da diversi anni il racconto del bob e dei bobbisti ha delle chiavi e delle connotazioni di tipo folcloristico come se si trattasse di un colorato spot televisivo e non di uno sport nobile con una enorme tradizione alle spalle. Anche in Italia i primi bob sono stati usati dai vecchi piloti dell'aeronautica che non potevano scendere a valle per via di condizioni climatiche avverse, poi tra gli anni Cinquanta e Sessanta la Nazionale azzurra – Eugenio Monti, Giacomo Conti, Lamberto Dalla Costa, Giacomo De Paolis, Roberto Zandonella, Mario Armano – ha vinto tutto ciò che si poteva vincere.

Insomma, stiamo parlando di una disciplina importante, dura e faticosa (per chi la pratica) prima ancora che spettacolare (per chi la guarda). A raccontarlo sono proprio i bobbisti, in particolare Giada Andreutti e José Delmas Obou, entrambi componenti della Nazionale italiana, entrambi olimpionici (a Pechino 2022) e impegnati nella preparazione dei prossimi Giochi Invernali, quelli di Milano-Cortina del 2026. L'aspetto su cui hanno insistito di più, durante una piacevole chiacchierata, è stato quello del bob, del mezzo, come lo chiamano loro: «Noi bobbisti abbiamo un rapporto particolare col nostro mezzo», spiega Andreutti. «Dobbiamo curarlo, dobbiamo modellarlo, dobbiamo dargli una personalità che sia affine al nostro stile di guida. È un discorso di parti meccaniche ma anche di anima: a ogni pilota piace avere le manette, ovvero le maniglie con cui giriamo e guidiamo il bob, e il sedile regolato in un certo modo. E poi dobbiamo costantemente levigare e lisciare i pattini, perché quelli che utilizziamo durante gli allenamenti sono quelli che possiamo usare durante le gare. Li rendiamo più veloci utilizzando paste abrasive e delle carte diamantate, poi dobbiamo posizionare delle piastre metalliche che facciano spessore e non facciano curvare il mezzo». È questo il momento in cui prende forma il concetto di squadra, come racconta Obou: «Il bob ha bisogno di essere sistemato quanto un orologio svizzero. Io e gli altri componenti della squadra viaggiamo sempre con i mezzi, siamo noi a trasportarlo fisicamente, quindi abbiamo un livello di coordinazione che deve essere studiato nei minimi dettagli. Abbiamo a che fare con elevatori, dobbiamo spingere e girare il bob insieme, posizionarlo in pista. E per farlo abbiamo bisogno l'uno dell'altro. Siamo un team che fa cose da team non solo in gara, ma soprattutto a livello logistico».

Per chi fa bob, quindi, la squadra ha un'importanza e un peso determinanti. Anzi, diventa qualcosa di più di una squadra: una famiglia. Andreutti lo spiega in modo chiaro, inequivocabile: «Il bob è uno sport che ti assorbe completamente, quindi posso dire che il team diventa tale anche nella vita quotidiana. Intanto perché si tratta di una disciplina prettamente invernale, e questo ci costringe a vivere fuori casa 24 ore su 24, sette giorni su sette, da ottobre fino a marzo. L'unica pausa coincide con le festività natalizie. Tutti i giorni, tutti insieme, dobbiamo allenarci in palestra o al campo d'atletica, preparare il bob, pranzare, sistemare il bob per la discesa, lavorare sulle piste nel pomeriggio e poi fino a sera. Infine, dobbiamo risistemare di nuovo tutto. È inevitabile aver bisogno delle altre persone. Addirittura gli avversari diventano parte della squadra: spesso ci è capitato che altre Nazionali ci aiutassero a spostare il mezzo, ed è una bella sensazione. Ti restituisce un senso di comunità che non c'è in altri sport».

Sia Obou che Andreutti hanno avuto una vita sportiva iniziata su altre piste, non su quelle ghiacciate del bob: Obou è stato un velocista, campione italiano assoluto dei 100 metri piani nel 2013 e nel 2014; Andreutti è stata una discobola, campionessa nazionale assoluta agli invernali di lanci a Rieti 2018. Per entrambi, il passaggio al bob e la decisione di concentrarsi solo su quello ha portato anche a un cambio di mentalità, di percezione, riguardo agli allenamenti. Racconta Obou: «Devo dirlo: ho scelto uno sport duro. Venendo dall'atletica leggera, mi sono reso conto che la differenza è abissale: nel bob c'è molta più attenzione sulla parte di forza, sulla parte di team, insomma è uno sport che prevede anche una preparazione di squadra. Io avevo interrotto la mia prima attività sportiva nel 2018 e ho fatto tre anni e mezzo di attività lavorativa con le Fiamme Gialle, poi è arrivata la possibilità di vivere una seconda carriera sportiva. Nell'anno olimpico, per altro. Nel mio palmarés mancava la partecipazione ai Giochi, quindi ho preso questa occasione al volo. Per me è stato un nuovo inizio». Anche Andreutti la pensa allo stesso modo: «Prima riuscivo a conciliare lo sport invernale con quello estivo, dividendo l'anno in due stagioni. Però mi sono resa conto che stavo facendo due sport senza dare il 100% in nessuno dei due. Così ho fatto una scelta: nel 2020, quando si è materializzata la possibilità di partecipare a Milano-Cortina 2026, ho deciso di puntare a questa opportunità. Ora la mia vita è cambiata, anche perché il bob ti chiede tantissimo: noi piloti dobbiamo curare le nostre prestazioni fisiche lavorando su corsa e forza, ma poi dobbiamo bilanciare tutto questo con una preparazione mentale incredibile. Personalmente faccio esercitazioni quotidiane per migliorare la reattività, la coordinazione mano-oculare. È fondamentale, visto che in gara devi azzerare il respiro e il battito cardiaco, devi concentrarti sulla guida, il bob scende a 160 chilometri orari e devi controllare tutto. Non puoi perdere e prenderti tempo. È una cosa unica, non esiste uno sport del genere». Altro che spot pubblicitario.