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Solitari ∞ Solidali

 

Solitari ? Solidali
Solitari ? Solidali

Per milioni di persone la pandemia è stata un percorso, o forse un allenamento o una lezione. Prendendo in prestito le parole di Amleto: "potrei venir chiuso in un guscio di noce e considerarmi re dello spazio infinito". [SHAKESPEARE, W., Amleto, traduzione di A. Lombardo, Feltrinelli, 2004, N.d.T.] L'immobilità forzata di chi è costretto a fissare le pareti di casa può portare alla pazzia oppure all'opportunità inedita di studiarne i meccanismi. Ognuno nel suo piccolo, scoprendo nuovi obiettivi di vita o semplicemente nuovi hobby, si è fatto guidare dall'ansia e dall'isolamento alla scoperta di pozzi di gratificazione che in tempi normali sarebbero rimasti nascosti per sempre.

Il restringersi dei nostri confini ci ha costretti ad ampliare la zona di comfort. Prima guardandoci dentro e pensando alle cose che contano di più nella nostra vita e ci regalano più soddisfazione. Poi guardando fuori per abbracciare la libertà inviolabile che ognuno di noi possiede: la libertà di esplorare il tempo e lo spazio infiniti racchiusi nel guscio di noce che è la nostra scatola cranica. E poi addirittura trascendere il solipsismo radicale della vita attraverso la compassione e l'unione con l'altro e con l'intero universo.

Potremmo forse farne uno stile di vita, uno stravolgimento radicale di mentalità, e non soltanto una tattica di sopravvivenza a una crisi del cigno nero? Dalla produttività alla creatività, fino al benessere a tutto tondo, l'esercizio pratico di ricerca della ricchezza e della possibilità nell'immobilità del mattino forse potrà portare i suoi veri frutti quando saremo tornati nel turbinio della "normalità".

Esperienze diverse

Gli esempi di persone che hanno reinterpretato il confinamento da COVID come un'apertura verso il futuro, anziché una chiusura, non si contano. Nella mia cerchia di amici una giornalista di tecnologia ha sentito la sua chiamata: disegnare cartoni. Durante l'ultimo anno i salaryman giapponesi sono riusciti a conoscere meglio i loro figli, tra un tiro di baseball in giardino e l'altro (e a essere più produttivi di quanto non fossero mai stati in ufficio, il vecchio centro di gravità della loro esistenza). Nella tregua forzata dal circuito delle cene e delle feste, un mio amico scrittore è riuscito a finire di leggere Proust dopo decenni di tentativi fallimentari. E non ha scoperto solo una compagnia più gradita, ma un'affinità con le virtù dell'isolamento. Queste esperienze potrebbero spingerci a considerare l'anno della pandemia come un possibile trampolino verso uno stile di vita migliore.

Eppure una crisi così ampiamente condivisa deve nascondere anche un numero quasi infinito di realtà individuali diverse tra loro. Le esperienze che hanno arricchito la nostra vita, sebbene più diffuse di quanto si pensi, non sono state certo universali né tantomeno accessibili a tutti. A uno studente universitario newyorchese che ha dovuto affrontare la sessione d'esami in un bilocale condiviso con due fratelli urlanti, l'invito a contemplare il giardino potrebbe sembrare una presa in giro. Per i milioni di persone che hanno perso i propri cari e non hanno potuto dire addio né piangere insieme alla famiglia, il naturale processo del lutto sarà stato complicato ulteriormente dalla somma tra la solitudine dell'isolamento e la solitudine della perdita. Nel frattempo, se per milioni di lavoratori lo smartworking è stato una liberazione, per molti altri è diventato una prigione tecnologica che ha trasformato il capo nel Grande Fratello e la vita in una sequenza continua di chiamate su Zoom.

Superare il limbo

Ostacoli personali a parte, molti hanno individuato un'epidemia di limbo pandemico. In un articolo pubblicato dal New York Times, Adam Grant, psicologo delle organizzazioni alla Wharton School dell'Università della Pennsylvania, ha indicato "l'indolenza" (la zona grigia del così così, a metà tra soddisfazione e depressione) come l'emozione dominante di quest'anno di pandemia. È un'affermazione discutibile, ma è vero che ognuno di noi a un certo punto ha incontrato lo spettro della fiacchezza e dell'esaurimento emotivo durante l'isolamento.

È per questo che le abitudini più semplici, come vestirsi per il lavoro anche restando a casa o le sessioni di gioco online come Words with Friends, sono diventate strumenti utili per mantenere la salute mentale. E perché serie drammatiche come Life of Duty nel Regno Unito (seguita dal 56,2 per cento dei telespettatori durante l'ultimo episodio) non sono state solo una distrazione, ma un rituale di coesione sociale. Insieme al vate Deliveroo hanno mandato la manna della così tanto agognata condivisione collettiva, che ci ha permesso di superare la depressione della domenica prima di tornare all'inferno di Zoom.

Forse è proprio a causa e non malgrado questi fattori che possiamo cogliere l'opportunità, e assumerci persino la responsabilità, di cercare d'ora in avanti significati più profondi e positivi, anziché guardare al passato come a una tela di indolenti toni del grigio. Ogni momento, anche il peggiore, rivela sfumature di esperienze da esaminare con attenzione, che danno senso al presente e speranza nel futuro.

La ricerca del significato

Pensiamo all'enorme murale dell'artista giapponese Taro Okamoto che raffigura il bombardamento atomico di Hiroshima. Colori vividi e rabbiosi come il rosso sangue, il giallo ocra e un verde velenoso squarciano la parete in un'immagine di assoluta distruzione. Eppure Il mito di domani è una potente testimonianza dello spirito umano. È un messaggio di speranza. L'augurio che Okamoto lancia a se stesso, al suo paese e al mondo.

Secondo lo psichiatra Viktor Frankl la ricerca di un significato dell'esistenza è la forza primaria che ci spinge ad andare avanti, che porta speranza, gioia e bellezza nelle situazioni più buie. Frankl ha scritto Alla ricerca di un significato della vita in nove giorni, dopo essere sopravvissuto a un campo di concentramento nazista. Ha raccontato la sua esperienza e il modo in cui la prigionia ha ispirato il suo approccio terapeutico, la logoterapia, che mette la mente, e non forze esterne, al centro dell'esistenza.

Secondo Frankl "la vita custodisce un significato potenziale in qualunque condizione, anche la più terribile". La solidarietà, spesso espressa attraverso una cupa ironia, è fondamentale per vivere. Nel terrore del trasferimento da Auschwitz a un nuovo campo, Frankl scrive che i moti di vita interiore hanno permesso ai prigionieri di intravedere, nel tramonto sulle Alpi intorno a Salisburgo, "la bellezza dell'arte e della natura come mai prima di allora".

È interessante notare come Frankl abbia attribuito la popolarità del suo libro non al racconto motivante sul significato dell'esistenza a dispetto delle circostanze estreme, ma alla "neurosi di massa dei tempi moderni". E nel 1946 ha parlato di come "l'automazione progressiva" contribuisca a "un vuoto esistenziale (che) si manifesta soprattutto attraverso uno stato di noia", con parole che suonano familiari ancora oggi.

Il bisogno di rinnovare

Alex Soojung-Kim Pang, consulente della Silicon Valley e autore di Shorter e Dipendenza digitale: Istruzioni per un uso equilibrato e felice della tecnologia, scrive con toni persuasivi delle strategie per superare il vuoto esistenziale, che prevedono la ricostruzione di strutture precise (inclusi lunghi periodi di riposo e contemplazione) all'interno di una quotidianità che rischia di essere schiacciata dal sovraccarico digitale. Anche prima della pandemia, racconta, "la crisi del significato era già evidente".

Pang sottolinea un elemento importante del pensiero di Frankl e della sua rilevanza nella vita durante il COVID: "Il significato non si scopre una volta sola, come fosse un tesoro o il Sacro Graal, lo si inventa di volta in volta", sostiene. "E poi la nostra capacità di trovare un significato a dispetto di ostacoli insormontabili o sfide estreme è rafforzata dalla capacità di trovare un significato nelle piccole cose e nelle relazioni."

E allora quale sarebbe il segreto per continuare a trovare nuovi significati in qualunque circostanza? Forse alcune delle risposte possono essere individuate nel concetto di "flusso", una teoria della felicità sviluppata dallo psicologo Mihaly Csikszentmihalyi.

La felicità è questione di testa

Che cos'hanno in comune i tessitori di lana di Biella, gli scalatori aggrappati alla liscia parete di El Capitan nello Yosemite, i panificatori del Sahara e gli ingegneri di biotecnologie che hanno lavorato senza sosta ai primi vaccini contro il COVID?

Sono tutti capaci di entrare in uno stato di "esperienza ottimale" chiamato flusso, che secondo Csikszentmihalyi rappresenta la chiave per sentirsi realizzati, qualunque sia il proprio destino. Il flusso è quello stato di concentrazione assoluta in cui il tempo sparisce e il sé si fonde con l'ordine e l'energia vitale, per cancellare persino le difficoltà di un corpo malato o della cella di una prigione. È il senso di padronanza e controllo che permette al pilota di Formula 1 non solo di sentirsi ma di essere più al sicuro quando gira su un circuito a 250 km orari rispetto a quando attraversa la strada a New York.

Per Csikszentmihalyi, a cui la guerra non ha risparmiato tragedie come la morte di due fratelli, uno in battaglia e l'altro in un gulag sovietico, il flusso dipende da un atteggiamento (e allenamento) mentale che si manifesta nella ricerca di uno scopo ed è spesso associato a un obiettivo comune che va oltre se stessi.

"La felicità non capita, non dipende da eventi esterni", scrive. "La felicità è anzi una condizione a cui prepararsi, da coltivare e difendere nel privato. Le persone che imparano a controllare l'interiorità riusciranno a determinare la qualità della loro vita."

Come yin e yang, la visione occidentale di Csikszentmihalyi, incentrata sull'obiettivo, si contrappone all'approccio orientale e zen, libero da ogni obiettivo. Come amava ripetere Shunryu Suzuki, il monaco che ha fondato il primo monastero zen al di fuori dell'Asia: "Nulla può disturbarvi al di fuori di voi stessi. Siete voi a creare le onde della vostra mente".

Controllare il potere della serendipità

Il professor Christian Busch, direttore del programma di economia globale al Center for Global Affairs della New York University (che avevo già presentato in Curve bizzarre e risultati fuori dall'ordinario, World 2019, Numero 2) capovolge il discorso nel suo libro The Serendipity Mindset. Abbraccia gli eventi esterni inaspettati e il loro potere di definire le nostre vite, ma si concentra anche sull'importanza centrale della nostra risposta, come teorizzato da Csikszentmihalyi e Frankl.

Il suo discorso ruota intorno alla forma mentis della serendipità. Secondo Busch ognuno può aumentare le probabilità di incontro con la fortuna attraverso azioni specifiche e può sempre reinterpretare gli eventi tragici della vita in chiave positiva.

"La serendipità è la capacità di dare significato al caso", racconta Busch. "Di collegare un significato a situazioni impreviste per capire come possono essere reinterpretate e sfruttate a proprio vantaggio".

Busch apre The Serendipity Mindset con il racconto di quando da adolescente ha rischiato di morire dopo un grave scontro con una fila di auto parcheggiate che ha distrutto completamente la sua auto. Questo evento ha dato il via a un percorso in cui Busch, da ultimo della classe nella sua scuola di Heidelberg, in Germania, è riuscita a ottenere un dottorato e poi una cattedra alla London School of Economics.

Momento sbagliato o opportunità?

Dopo anni trascorsi a scrivere il suo libro, Busch si trova a doverlo lanciare proprio durante la pandemia. I punti vendita del "caso", come le librerie degli aeroporti, chiudono all'improvviso e le strategie per coltivare la fortuna nell'agorà urbana si interrompono.

Poi Busch si ammala di COVID in forma grave e resta isolato nel suo appartamento "pronto a chiamare il 911 da un momento all'altro".

Ma quando guarisce, si mette al lavoro per reinterpretare l'impatto del COVID sul suo libro, animato da un nuovo senso di fiducia nel potere della serendipità. L'esperienza lo spinge a rivalutare nuovamente la sua vita.

"Non bisogna vederla come una minaccia, l'insicurezza può diventare un'alleata", sostiene Busch. "E spero che sia proprio questo il cambiamento più evidente, la capacità di trasformare la casualità in alleata, per liberarci dall'ansia e individuarne le potenzialità. È questo il fulcro della serendipità."

Dopo aver sfiorato la morte, Busch riallaccia i contatti con una vecchia amica che non sente da oltre un decennio.

Tra loro scatta qualcosa. Forse è merito della serendipità.

Ora aspettano un figlio.

 

BIOGRAFIA JOJI SAKURAI

 

Joji Sakurai è stato corrispondente estero e redattore per Associated Press. I suoi contributi sono stati pubblicati da Financial Times, Foreign Policy, New York Times e molti altri. Oggi vive in Giappone e si interessa soprattutto di intelligenza artificiale e IoT.