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Qual è il futuro dell'esperienza?

Pigiama party nei negozi. Enormi scalinate a forma di pianoforte. Chat automatiche per insonni. Ologrammi di elefanti. Sottomarini con marchi automobilistici prestigiosi. Questi fenomeni (creati rispettivamente da IKEA, Volkswagen, Casper, WWF e Aston Martin) non sono effimere idee di marketing: fanno parte di una tendenza che ormai ha preso piede ovunque nel mondo da più di vent'anni, la cosiddetta experience economy, un trend che si sta ora espandendo a coprire ogni aspetto della nostra vita di consumatori.

Joseph Pine e James Gilmore hanno identificato per primi questa tendenza, descritta in Welcome to the Experience Economy, pubblicato nel 1998 dalla Harvard Business Review. L'articolo usa la semplice immagine della torta di compleanno come esempio di quello che gli autori chiamano la “crescita del valore economico” – l'inesorabile trasformazione di beni, oggetti e servizi in un prodotto con un maggiore vantaggio percepito. All'inizio la torta di compleanno veniva fatta in casa, partendo dai singoli ingredienti. Poi sono arrivati i preparati, seguiti dai negozi specializzati in torte di compleanno, diventate un vero e proprio servizio. Oggi è possibile ordinare la torta nel quadro di un intero pacchetto “di compleanno”, e anzi, la torta viene spesso offerta in regalo perché parte di un'offerta molto più ampia e coinvolgente.

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Un business in crescita

“In futuro la concorrenza si sfiderà su un nuovo campo di battaglia,” hanno scritto Pine e Gilmore “la capacità di realizzare esperienze.” Non c'è alcun dubbio: i grandi brand li hanno presi in parola. E come dargli torto? L'experience economy è oggi uno dei principali motori del commercio al dettaglio mondiale. È diventata un linguaggio di marketing quasi obbligatorio in qualunque settore, dal retail ai divertimenti, dai trasporti al turismo. Un rapporto McKinsey del 2017, Cashing in on the US experience economy, fa notare che, mentre la crescita delle vendite di beni negli Stati Uniti tra il 2014 e il 2016 ammontava all'1,6%, quella legata alle esperienze la superava ampiamente, arrivando al 6,3%.

Ancora oggi, Gilmore, diventato autore e studioso di svariate discipline aziendali, non ha perso l'entusiasmo riguardo all'importanza dell'experience economy, alla quale ha contribuito a dare un nome. Tuttavia si rende conto che gli oltre vent'anni di continua esposizione a questa nuova economia potrebbero portare a un fenomeno che chiama “experience fatigue”. “Chi vende può chiamare ‘esperienza' praticamente qualsiasi cosa; ad esempio: ‘l'esperienza del vero panino artigianale!', spiega. “Ma più i consumatori leggono slogan del genere, meno ne sono ispirati. È una dimostrazione perfetta della legge dell'utilità marginale decrescente.”

In ogni caso, l'experience economy non sembra voler rallentare, in particolare tra i consumatori più giovani. Secondo un sondaggio della piattaforma tecnologica per eventi Eventbrite, più di 3 millennial su 4 sceglierebbero di investire i propri soldi in un'esperienza o un evento interessanti anziché in un bene materiale, un risultato che sembrerebbe dimostrare un probabile cambiamento a lungo termine. Inoltre, molte organizzazioni stanno assumendo i cosiddetti chief experience officer, o CXO, responsabili di realizzare una comunicazione più concreta e interattiva rispetto alle classiche proposte commerciali.

Un racconto da postare

Esempio efficace di questa tendenza è l'offerta di Airbnb (portale di affitto alloggi privati) chiamata, forse in difetto di originalità, Experiences. Nel 2018 Brian Chesky, CEO di Airbnb, ha dichiarato che Experiences, nata nel 2016, stava crescendo dieci volte più rapidamente del servizio di affitto alloggi, core business della società, anche grazie allo spiccato interesse mostrato dai millennial. Nel 2019, si può dire che Airbnb offra esperienze di qualunque tipo: dalle escursioni tra i lupi ai seminari di jodel; oggi è possibile affiancare qualsiasi attività immaginabile (e qualcuna inimmaginabile: vi va un bel corso di tassidermia?) ai soggiorni, in ogni parte del mondo.

Gilmore non è sorpreso da questi sviluppi, e fa notare che l'experience economy è profondamente radicata a qualsiasi livello dell'attività commerciale. “Guardate ad esempio il turismo. È sempre stato la quintessenza di quelle attività basate sull'esperienza, ma ora non basta più, il turismo è esploso in diverse direzioni: oggi abbiamo il turismo legato ai cambiamenti climatici, alle catastrofi, oppure al Signore degli Anelli.”

Una delle spinte dietro a questo fenomeno è la comunicazione, incentrata su autenticità e narrazione piuttosto che su testimonial celebri e beni di lusso. In un mondo dove molti possiedono uno smartphone da mille euro, diventa sempre più difficile attirare il consumatore attraverso i concetti del lusso e dell'esclusività. Legando le esperienze ai beni, i brand danno qualcosa da raccontare alle persone, che riversano le proprie storie su decine di milioni di account Facebook e Instagram – le piattaforme sulle quali ormai ci aspettiamo di essere valutati e giudicati.

Un'esperienza digitale

La tecnologia è onnipresente nelle nostre vite e potremmo essere portati a considerarla il futuro inevitabile dell'experience economy. Si tratta indubbiamente di uno strumento usato da moltissimi brand. La casa e scuderia automobilistica McLaren, ad esempio, di recente ha lanciato il McLaren Automotive Real-Time Configurator (MARC): una piattaforma in 3D che permette ai clienti di configurare le auto in negozio fin nei minimi dettagli, progettata per unire il brivido reale di guidare una McLaren all'esperienza altrettanto entusiasmante di personalizzarla e acquistarla.

Mentre viaggiamo a gran velocità verso un'era in cui chatbot a intelligenza artificiale e assistenti virtuali saranno i protagonisti di qualsiasi transazione commerciale, è difficile scrollarsi di dosso la sensazione che anche l'experience economy verrà dominata dalla mediazione tecnologica. Ma non sarà così secondo Roger Wade, fondatore di Boxpark – catena di centri commerciali pop-up realizzati all'interno di tre container tra Londra e l'Inghilterra meridionale, dove le persone accorrono in cerca di moderne avventure gastronomiche e commerciali. 

Un'esperienza umana

Boxpark è un'esperienza soprattutto umana, dichiara Wade, laddove molte delle cosiddette esperienze offerte dai brand di oggi non lo sono affatto. “Ma chi vorrebbe davvero la Jeff Bezos Experience? Consegna in un giorno, consegna con i droni, recensioni. Potrebbero sembrare idee innovative, ma non sono più tanto speciali. Se non crei un'esperienza rivoluzionaria per i clienti, non avrai futuro.”

Gilmore trova che ci sia ancora spazio per le esperienze digitali, specie quelle veicolate o migliorate dagli smartphone, ma prende atto che le esperienze davvero nuove da offrire ai consumatori potrebbero esaurirsi nel prossimo futuro. “Personalizzare ulteriormente questa trasformazione significherebbe avvicinarsi alla perfezione; e vendere la perfezione mi sembra un obiettivo irrealistico.”

Secondo lui il futuro sarà fatto di fenomeni molto umani. “Stiamo iniziando a notare che le persone vogliono essere cambiate da queste esperienze. Non vogliono solo godersi la lezione di golf o cucina; vogliono diventare cuochi migliori, giocatori di golf migliori. Questa potrebbe essere l'offerta economica finale. Non crediamo che esista per forza una nuova fase nel percorso verso il valore economico.”

L'esperienza, quindi, deve essere più di un semplice passatempo: è la chiave per trasformare noi stessi; un mezzo potente per riconquistare il controllo sulle nostre vite, in un mondo sempre più ossessionato da una tecnologia che spesso sostituisce l'essere umano. La vera domanda è: le aziende sapranno adattare la loro offerta in modo adeguato?