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Pausa pranzo: anche nelle mense aziendali ci vuole benessere

Pausa pranzo: anche nelle mense aziendali ci vuole benessere

Pirelli ha sempre avuto la più grande attenzione per il benessere dei  propri dipendenti:  già nel 1915 viene infatti allestito il primo refettorio nella fabbrica di Bicocca; uomini al pian terreno, donne al primo piano. Perchè se l'Italia contadina in quegli anni riesce in qualche modo ad essere autosufficiente - polenta, patate, fagioli, castagne - la classe operaia è in condizioni più problematiche. Brodo e polpette sono  i due capisaldi del regime alimentare di quest'Italia pre-moderna. Momenti duri e costante penuria di cibo tornano con la nuova guerra, ma sono comunque tempi di grandi contraddizioni anche sociali: mentre le mogli degli operai raccolgono la cicoria nei prati, poeti e artisti futuristi cenano a base di ”Aerovivanda” e “Dolceplastico”. Le lavoratrici e i lavoratori Pirelli si ritroveranno alla fine della guerra ricompensati da una mensa “a prezzo politico”: 75 centesimi la minestra per gli operai, 80 centesimi per gli impiegati; il menù del 1946 propone anche trippa al sugo, frattaglie e frittata. Sulle tavole degli italiani finalmente arriva la pasta, che diventa la cifra identificativa di un intero paese: da Sordi a Totò e Peppino a Sophia Loren e Gina Lollobrigida, il cinema italiano degli anni Cinquanta è un trionfo di spaghetti. Non a caso in una colonia Pirelli il piccolo Sergio Alfieri, nel 1954, stabilisce il suo record personale: sei piatti di pastasciutta in un colpo solo. Le colonie, nate già ai primi del Novecento per accogliere d'estate i figli dei dipendenti, dopo la Seconda Guerra Mondiale diventano necessarie per ridare la salute ai bambini usciti affamati dal conflitto. Paradossalmente, in questi anni Cinquanta monotematici dal punto di vista dell'alimentazione sono le mense aziendali a rilanciare un'idea di menù “a rotazione”. Nel 1956 allo stabilimento Pirelli di Milano Bicocca inizia la costruzione della nuova Mensa Impiegati. La direzione dei lavori è affidata all'ingegner Chiodi e l'architetto Minoletti, che progettano lo spazio con una navata ampia e ariosa e una grande vetrata a sfruttare al meglio la luce del giorno, mentre la dotazione di nastri trasportatori e l'introduzione del self service rendono scorrevole il sistema di distribuzione delle vivande. Sulle tavole della mensa compaiono yogurt e grissini, aranciata, cedrata e bitter. Nei favolosi anni Sessanta la tecnologia e il design si impongono anche nelle mense Pirelli: arrivano nuove attrezzature, come una lavastoviglie lunga 13 metri e mezzo realizzata appositamente per l'azienda; nel menù giornaliero compaiono i “piatti speciali” come le tagliatelle al sugo. Come secondo, una volta alla settimana, la cotoletta alla milanese o il pollo arrosto: comincia la rassicurante abitudine del “piatto del giorno”. Il boom è anche gastronomico: la preoccupazione non è più quella di non avere cibo a sufficienza, bensì quella di mangiare tanto e bene. Largo ai frutti di mare e alle vongole. E nei bicchieri domina lei: la Coca Cola. E così si arriva agli anni Settanta: il freezer diventa il tabernacolo laico della cucina moderna, stipato di sofficini, bastoncini di pesce, gelati industrialissimi come Arcobaleno, Piedone o la mitica Coppa del Nonno.  Nel ripiano del frigorifero arriva il tetrapack a piramide del latte a lunga conservazione, e accanto ci sono le merendine che ti tentano tre volte tanto. Tutto è “già pronto”, è “qui e subito”: è Supermercato; ben venga la pentola a pressione Lagostina. I Settanta però sono anche anni contraddittori: è in questo decennio che nasce la Nouvelle Cuisine, insegnando spiritualità ed equilibrio. Intanto una ventata di novità porta sui vassoi della mensa Pirelli numerosi piatti alla moda: l'insalata russa, il vitello tonnato, la trota con la maionese. La carne viene offerta in mille declinazioni: cotechino, zampone, salame, prosciutto crudo... Un trionfo proteico. E arrivano gli anni Ottanta: la Milano da bere, l'ottimismo, l'euforia del consumo, la panna, pasti destrutturati, snack a tutte le ore, soft drink.

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Nulla è più necessario del superfluo, in questi fulgidi Ottanta. Il Burghy, con i suoi hamburger e patatine, crea la nuova specie antropologica dei paninari e il fast food fa sociologia. Qualche intoppo nel sistema alimentare può però capitare: una mucca che impazzisce, un pollo con un'influenza strana, un vino con un tasso di metanolo un po' troppo alto. Stili e modelli  di ristorazione aziendale che prendono forma negli anni Settanta vanno via via consolidandosi nel corso degli anni Ottanta e Novanta: le scelte alimentari si diversificano, le mense Pirelli rappresentano un sistema integrato di ristorazione aziendale globale. Arrivano goulash e kebab, la birra non è più solo appannaggio della mensa di Breuberg. Si accelerano gli scambi di informazioni e di culture ma si instaurano nuove paure: terrorismo internazionale, crisi finanziarie, migrazioni strutturali, virus sconosciuti. Il corso delle cose non è lineare: la globalizzazione va ripensata, l'ambiente si impone come valore. Con il nuovo Millennio non si poteva continuare a gettare ogni anno 15.000 tonnellate di pane prodotto e non consumato. Movimenti di pensiero come Slow Food e Il Gambero Rosso hanno suggerito un approccio diverso al cibo, più equilibrato e rispettoso del nostro corpo non più vissuto come "macchina perfetta". Expo 2015 è un gigantesco libro su cui milioni di persone hanno scritto la loro storia di alimentazione sostenibile. Oggi anche nelle mense aziendali la parola d'ordine è “Wellness”.