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Franklin Foer: l'era della distrazione

L'era della distrazione 01
L'era della distrazione 01
Credits photo by Matt Roth

A un certo punto della sua riflessione critica su come la tecnologia sta cambiando il mondo e i suoi abitanti, Franklin Foer viene fulminato da una scandalosa intuizione: “Se guardiamo con sufficiente attenzione a Google, Facebook e Amazon, scopriamo che sono un po' come l'Italia”. Come l'Italia? Piene di bellezze rinascimentali e di turisti? Eredi di una tradizione culturale millenaria? No, il comune denominatore è che sono tutti luoghi in cui “non è mai del tutto chiaro come funziona davvero il potere”. 

Chi cerca di guardare all'interno delle industrie di vetro della Silicon Valley, edificate sulle fondamenta retoriche della trasparenza, viene confuso da un gioco di specchi deformanti, un caleidoscopio di distrazioni che rende impossibile capire in che modo e con quali scopi agisce Big Tech, il colossale oligopolio che ha il controllo sui flussi dei dati globali e compete per la merce più preziosa in circolazione: la nostra attenzione. 

Torna in mente la definizione del romanziere Chuck Palahniuk, secondo cui Orwell aveva capito tutto, però al contrario: “Il Grande Fratello non guarda. Canta e balla. Tira fuori conigli da un cilindro. Il Grande Fratello è impegnato nel tenere occupata la tua attenzione in ogni momento in cui sei sveglio. Si accerta che tu sia continuamente distratto. Fa in modo che tu sia completamente assorbito”. Herbert Simon, premio Nobel per l'economia, aveva messo a fuoco già negli anni Settanta lo stesso concetto in termini economici: “Ciò che l'informazione consuma è piuttosto ovvio. Consuma l'attenzione di chi la riceve. Perciò la ricchezza di informazioni crea una povertà di attenzione”. 

L'era della distrazione 02
L'era della distrazione 02
Credits photo by Matt Roth

Facciamo un passo indietro. Foer, giornalista del magazine The Atlantic, saggista, già direttore della pubblicazione liberal The New Republic, nonché fratello maggiore del romanziere Jonathan Safran Foer, ha scritto un libro intitolato “World Without Mind”, una requisitoria contro la “minaccia esistenziale” portata dalle aziende tecnologiche che con la loro pervasività influenzano in modo profondo gli ambiti fondamentali dell'esistenza umana: i rapporti sociali, il lavoro, la conoscenza. Il libro di Foer prende posizioni nette, ma ha il duplice pregio di non cedere alla tentazione di tratteggiare il grande complotto dei savi della Silicon Valley per dominare il mondo – una visione che si incontra sempre più di frequente – e di non abbracciare il pregiudizio luddista. Quando parla del libro, l'autore si premura innanzitutto di chiarire che lui non è contrario alla tecnologia in sé, né auspica un ritorno a una mitica età predigitale segnata da una umanità autentica. Non si tratta della lamentazione di un eremita dell'analogico. Il problema è quella che Foer definisce la “distruzione della possibilità della contemplazione”, dove il termine contemplazione è un sinonimo di “privacy”, almeno nel senso in cui la intendeva il giurista Louis Brandeis: 

“Quando si parla di privacy – spiega Foer – si pensa innanzitutto alla protezione dei dati personali dalle intrusioni esterne, ma nel suo senso originale il termine indicava lo spazio della riflessione privata, quegli ambiti di silenzio in cui ciascuno poteva confrontarsi con le domande fondamentali della vita. E' a questo livello che qualcosa è cambiato radicalmente. La privacy non si perde innanzitutto cedendo i propri dati sensibili, ma accettando l'erosione di spazi di concentrazione dove siamo liberi dalla presenza di altre fonti di disturbo”. 

Foer dice queste cose mentre, come tutti, viene distratto da uno smartphone che reclama la sua attenzione, ma la sua ricetta non prevede l'abbandono istantaneo dei device: “Si tratta, piuttosto, di rendersi conto delle implicazioni profonde dei grandi cambiamenti tecnologici della nostra epoca che finora abbiamo, a mio avviso, abbracciato con irresponsabile entusiasmo. Difficilmente potremo avere un rapporto libero e sano con qualcosa che non abbiamo davvero capito”.  Lui lo ha capito quando il giornale che dirigeva è stato comprato da Chris Hughes, giovane che era nel gruppo dei primi di Facebook, e che ha tentato di trasformare un giornale di idee dove scrivevano George Orwell e Virginia Woolfe in una “media company verticalmente integrata”. Il risultato non è stato molto incoraggiante, ma ha permesso a Foer di iniziare a capire meglio la mentalità che anima un mondo, quello dell'innovazione tech, che aveva sempre guardato con entusiasmo.

L'era della distrazione 03
L'era della distrazione 03
Credits photo by Matt Roth

Ogni aspetto problematico finisce sotto lo sguardo dell'autore, dagli algoritmi che sembrano strumenti matematici neutri ma non lo sono, al grande incesto fra i social network e il mondo dei media fino alle visioni fantascientifiche di ingegneri convinti che la sconfitta della morte sia un obiettivo a portata di mano. Degli algoritmi scrive che sono “meant to erode free will, to relieve humans of the burden of choosing, to nudge them in the right direction”.  Foer si sofferma su alcuni dettagli inquietanti poco noti al pubblico. Un esempio su tutti: nessuno conosce interamente il codice di Facebook. Eserciti di ingegneri lavorano senza sosta sul codice, il tesoro del social di Zuckerberg, ma dopo anni di espansione stellare e maniacali modifiche è diventato talmente vasto e stratificato che nessuno è in grado di capirlo nella sua complessità. Detto altrimenti: il mezzo che controlla la vita social di oltre due miliardi di persone sfugge al controllo degli esseri umani. 

E' per via di intuizioni di questo genere che non è raro, di questi tempi, imbattersi in entusiasti della tecnologia che si sono pentiti delle loro posizioni, e ora sono diventati contropredicatori del verbo della Silicon Valley. Jaron Lanier, pioniere della realtà virtuale negli anni Ottanta, implora Google & Co. di cambiare radicalmente modello di business per evitare di trasformare il mondo in una gabbia per criceti che corrono in eterno sulla ruota. 

Sean Parker, fondatore di Napster e primo presidente di Facebook, oggi fa mea culpa per non aver capito, quando la rivoluzione gli è esplosa fra le mani, i risvolti malevoli di quello che stava facendo. Ora dice che i social network “sfruttano le vulnerabilità della psicologia umana” creando meccanismi di dipendenza negli utenti. Tutto è cominciato con la domanda che i leader di Facebook hanno preso a porsi esplicitamente dall'inizio dell'impresa: “Come facciamo a consumare più tempo e più attenzione possibile?”. Più tempo e più attenzione significa più commenti, più like, aumento del valore per gli inserzionisti, ancora più tempo e ancora più like e commenti, con un conseguente aumento del valore e così. Rispondere a questa domanda è la chiave d'accesso universale, il Sacro Graal che l'industria tecnologica disperatamente cerca per garantirsi la vita eterna. 

“Siamo circondati, anzi immersi in una serie di processi incrementali di cui nemmeno ci rendiamo conto”, spiega Foer. “La tecnologia risolve un sacco di problemi e toglie pesi e scocciature della vita quotidiana, pensiamo a tutto quello che abbiamo automatizzato, dalla bolletta da pagare alla scelta degli amici sui social, ma ciò che mi spaventa è la facilità con cui le piccole scelte diventano grandi scelte, le piccole cose che abbiamo delegato agli strumenti della tecnologia diventano grandi cose: siamo su un piano inclinato, e a questo punto è urgente che ce ne rendiamo conto”. 

Foer auspica infine una paradossale “liberazione dell'ingegneria dagli ingegneri”, dove l'efficienza del sistema cessi di essere il solo criterio di sviluppo: “Dobbiamo usare meno energia per capire come risolvere più efficacemente i problemi quotidiani e chiederci più spesso per che cosa vale la pena vivere. Scopriremo forse che l'efficienza non è tutto”.

AUTORE
Mattia Ferraresi — è corrispondente USA de Il Foglio e giornalista freelance per altre testate italiane tra cui Panorama e Il Giornale. È autore di numerosi saggi sulla politica statunitense. Vive a Brooklyn, New York.

WORLD WITHOUT MIND (MONDO SENZA MENTE)
Nel suo ultimo libro, World Without Mind: The Existential Threat of Big Tech, (Mondo senza mente: la minaccia esistenziale del Big Tech) Franklin Foer descrive le modalità con cui le più importanti compagnie tecnologiche – in particolare Google, Apple, Facebook e Amazon – stanno modificando il pensiero, la cultura e la vita di tutti noi. Secondo Foer, considerato dal Washington Post un polemico “nella tradizione di George Orwell e Christopher Hitchens", è ormai tempo di aprire gli occhi sulle conseguenze dell'ascesa del "Big Tech" e riaffermare la nostra individualità. 

FRANKLIN FOER
Franklin Foer è uno scrittore e giornalista americano. Scrive di politica, cultura, tecnologia e sport per il mensile The Atlantic. È stato per due volte editor del magazine liberal New Republic, prima di venire licenziato dal suo proprietario, il co-fondatore di Facebook Chris Hughes, nel 2014. Foer ha anche scritto How Soccer Explains the World: An Unlikely Theory of Globalization (Come il calcio spiega il mondo: teoria improbabile sulla globalizzazione) e ha co-editato Jewish Jocks (Sportivi ebrei), una collezione di 50 saggi sui più importanti atleti ebrei.