Vedo Hans-Ulrich Obrist in una tersa sera di fine ottobre, salotto molto strano, cupo, buio, lungo il fiume, a Londra: non è un’occasione mondana, ma una specie stranissima di studio-visit: non posso rivelare molto del luogo, se non che in questo palazzo si sta svolgendo la post-produzione di uno dei film più ambiziosi, lenticolari, massicci, impegnativi, utopici, mostruosi, che siano mai stati realizzati – e vincolato a un’assoluta segretezza. Per quanto possa apparire strano e singolare, è esattamente il genere di occasione in cui ti aspetti di veder coinvolto Hans Ulrich Obrist, soprattutto nelle sere e nelle notti, quando non affronta direttamente gli impegni e le diverse appendici del sistema dell’arte contemporanea e dell'arte moderna.
Hans ha sempre coltivato un parafulmine interiore generoso e imbattibile per tutto ciò che è fuori dall’ordinario, inventivo, stupefacente: per tutto ciò che costruisce ponti dove non sai nemmeno se ci sia terra, o acqua, o qualche miracoloso sistema di gas e precipizi o buchi neri – i verricoli inaspettati dove accade la produzione di conoscenza in un mondo intollerabilmente complesso, indefinitamente ramificato e connesso, e così luminoso da non far cogliere con facilità la differenza tra ciò che è nuovo e ciò che è già stato fatto.
Hai appena ultimato una delle ‘marathon’ di interviste più interessanti tra quelle organizzate annualmente alla Serpentine – sul tema della trasformazione. Nel contempo molte altre istituzioni hanno cominciato a organizzare lunghe sessioni di talk simili alle tue maratone. Pensi che il formato delle ‘maratone’ sia un po’ logoro?
Penso di no. Certamente bisogna trovare in ogni occasione la chance di inventare nuovi formati, ma io credo che l’idea della maratona di interviste sia sempre feconda. Come dice Deleuze, bisogna trovare una differenza nella ripetizione. Organizziamo a questo punto maratone in ogni parte del mondo, da New York all'Italia, e ogni viaggio, ogni nuova versione ha delle caratteristiche capaci di dare un’identità specifica, anche e soprattutto in relazione al luogo, al contesto – anche attraverso la ricerca locale. È un formato non statico, proprio come il formato dell’intervista: è un sistema complesso. Per il momento è ancora eccitante. Quando l’eccitazione si fermerà, non ne organizzeremo più.