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Imparando a condividere le strade

Da anni le città sono progettate pensando solo alle automobili, ma in molti luoghi si sta verificando un cambiamento. Allo stesso modo deve cambiare anche il nostro punto di vista sulla condivisione delle strade

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Chiedete a un tassista londinese cosa pensi dei ciclisti. E molto probabilmente quel giudizio non sarà molto lusinghiero. “Stanno in mezzo alla strada”,“Si creano le proprie regole”, “Sono una seccatura”, potrebbero essere le risposte più gentili. Ovviamente il sentimento è reciproco.

Nel tentativo di recarsi dal punto A al punto B in città, le strade diventano campi di battaglia, dove i comportamenti risultano spesso provocatori. Ciò accade soprattutto con autobus, camion, pedoni e, di questi tempi, anche con le poche e-bike condivise, che si trovano pure loro in questo contesto.

Ciò che serve per superare un utilizzo aggressivo delle strade cittadine è un nuovo modo di pensare gli spazi. La pianificazione urbanistica è stata probabilmente tale da favorire le automobili, a spese degli altri utenti della strada. Per invertire la tendenza e rendere le strade luoghi più civili c'è molto da fare.

Il possesso delle strade 

Le strade nascono in origine come spazi pubblici, con venditori ambulanti, pedoni e addirittura bambini che giocano mentre passano veicoli trainati da cavalli e tram. Poi è arrivato il motore che ha reclamato questi vitali metri quadrati esclusivamente per sé. 

Nella maggior parte dei Paesi questo cambiamento è avvenuto senza incontrare ostacoli, con l'eccezione dei Paesi Bassi. Qui all'inizio degli anni '70 nacque un movimento sociale che chiedeva condizioni di ciclabilità più sicure per i bambini. Ciò, insieme alla crisi petrolifera del 1973, spinse il governo olandese a prendere le distanze dalle politiche urbane concentrate esclusivamente sulle automobili e a investire in infrastrutture destinate ai ciclisti.

Ad Amsterdam, per esempio, è facile rimanere colpiti dal flusso ordinato di ciclisti che si spostano liberamente in città, affiancati da automobili guidate quasi sempre con rispetto ed educazione. La bicicletta è ovunque, e trasporta la spesa, i bambini e persino i mobili. E ognuno si sposta ad una velocità costante, prevalentemente bassa.

Modellare il comportamento sociale

Si tratta di un passaggio sociale di rilievo. Secondo la Federazione ciclistica europea, più di un quarto degli spostamenti effettuati dagli olandesi avviene in bicicletta. Nonostante questi dati siano evidentemente favoriti dalla conformazione geografica del paese, quasi privo di rilievi, essi si rapportano al 5 percento dell'Italia e al 2 percento del Regno Unito.

Nel corso degli ultimi 10 anni abbiamo visto diverse grandi città, da Barcellona a Bogotà, adoperarsi per diventare maggiormente "bicycle friendly". E ciò procede di pari passo con l'impegno per ridurre i limiti di velocità in città. Entro maggio nel centro di Londra sarà di 20 miglia orarie. Entro il 2021 a Bruxelles il limite sarà principalmente di 30 km orari. Altre città, tra cui Parigi, Milano, Dublino, Glasgow e New York stanno muovendosi nella stessa direzione.

Alcuni urbanisti vanno addirittura oltre, anticipando il concetto di “spazio condiviso”, destinato a includere tutti gli utenti della strada. In queste aree, come avviene nella prima città a spazio condiviso, Drachten nell'Olanda settentrionale, il traffico e i pedoni convivono senza necessità di semafori, segnali stradali e cordoli, nati in origine per tenerli separati. Per capire meglio, pensiamo ad una pista di pattinaggio sul ghiaccio, dove gli skater più veloci pattinano fianco a fianco con chi procede più lentamente o velocemente, in un flusso di movimento comunque sicuro e attento.

Ciò significa che tutti procedono più lentamente, compresi i ciclisti avvolti in abbigliamento in Lycra, che credono che la strada sia una pista per allenarsi.

Se poi gli automobilisti dovessero lamentarsi per il cambiamento di status delle strade cittadine, farebbero bene a considerare un altro fatto storico: la velocità media nel centro di Londra è oggi di 8 miglia orarie, praticamente la stessa che avevano le carrozze un secolo fa.