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20 words for a new world: Spettacolo

20 words for a new world: Spettacolo
20 words for a new world: Spettacolo

Privati da mesi di contatti veri e propri con amici e famiglia, in un'atmosfera generale di panico e apocalisse, abbiamo cominciato a inviare le foto di quello che mangiavamo.

Ci è sembrato qualcosa di nuovo, anche rispetto agli standard esibizionisti tipici dei social. Anche chi non l'aveva mai fatto si è ritrovato a partecipare. È stato abbattuto una specie di muro e ora può anche rimanere lì dov'è.

Ma è un esibizionismo strano quello di Facebook, Instagram e altrove.

Mostra e allo stesso tempo nasconde.

Mostra quello che vogliamo mostrare e la natura del mezzo facilita questo approccio. (Eppure a volte involontariamente mostriamo più di quanto vogliamo...)

Secondo me siamo affascinati dal controllo che abbiamo sull'immagine che presentiamo al mondo. Pensiamo di poter creare un'immagine di noi stessi, quell'immagine che vogliamo mostrare al mondo.

Senza neppure rendercene conto, cominciamo a pensare come un professionista delle pubbliche relazioni, un manipolatore dei media, un pubblicitario.

Non so dire se tutto questo sia positivo per la nostra psiche.

Eppure questo comportamento racchiuda in sé un carattere profondamente estroverso, è inutile negarlo, perché riconosce l'esistenza come esperienza sociale.

In cui non esistiamo se non siamo visti.

E così, prigionieri delle nostre case, vogliamo dichiarare al mondo la nostra esistenza, anche solo attraverso pensieri sconnessi su argomenti qualunque postati sui social o foto della cucina appena rimbiancata.

Guardami! Sono ancora qui!

Ma le nostre interazioni si sono fatte anche più serie, almeno per un po'. Il pettegolezzo ci sembrava sbagliato e poi c'era ben poco da spettegolare visto che i classici incontri tra persone, la socializzazione che genera il pettegolezzo, erano quasi inesistenti. Così abbiamo iniziato a parlare d'altro. Del futuro così incerto da non permetterci di pianificare più di due o tre giorni, dei governi che assumevano nuovi poteri (li avrebbero restituiti?), della paura, dell'ansia, della noia, della solitudine, della morte.

In breve, in queste conversazioni, in queste interazioni, ci siamo aperti all'altro, forse un po' di più del solito. Questo, secondo me, era l'aspetto importante de “mostrare”, che si è trasformato in “emoting” di massa. In Gran Bretagna, per esempio, sotto forma di applausi in tutto il paese per il Servizio sanitario nazionale, Clap for Carers. In altri paesi, di spettacoli spontanei dai balconi, alcuni diventati inevitabilmente “virali” in Internet, finiti sui telegiornali e poi riconosciuti da tutti come “fenomeno” che ha generato celebrità passeggere e incoraggiato tanti imitatori, finché non è scemato e noi abbiamo cercato altro.

La sensazione di aver affrontato qualcosa insieme forse è rimasta. Tutto sommato la condivisione è un'esperienza piuttosto rara in questo mondo frammentato.