Ai Mondiali di Åre con la tigre delle nevi
«Ricordo quando ho fatto l'esame per la patente. Era una delle prime volte che mi mettevo alla guida, a dire il vero, ma me la cavavo già molto bene. Dopo pochi metri l'esaminatore mi domanda: “Tu sei sciatrice, vero?”». Nell'aneddoto di Manuela Moelgg, quattordici podi ai Mondiali di Sci alpino (quasi tutti nella specialità dello Slalom Gigante) in una lunga carriera chiusa al termine della scorsa stagione, c'è tutto il legame tra lo sci e l'automobilismo. Perché chi scia deve per forza sviluppare un occhio particolare per le curve, le traiettorie migliori, per la velocità. Due discipline molto più vicine di quel che si pensa: la pista, di neve o d'asfalto che sia, costringe a un legame unico tra l'atleta e il mezzo che deve governare. L'abbiamo incontrata ad Åre, Svezia, in occasione della Coppa del mondo di sci alpino 2019 che Pirelli sponsorizza per la seconda volta.
Si può dire che il mestiere dello sciatore è come quello del pilota?
«Non possono essere uguali, chiaramente, ma possiamo dire che noi sciatori siamo in qualche modo piloti di una macchina tutta nostra. Proprio come per un pilota, la traiettoria, l'assetto, la velocità, tutto deve essere pensato e calibrato nel dettaglio. Tutto nella nostra macchina deve girare alla perfezione. Poi ogni atleta, pilota o sciatore, ha un legame personale con il suo mezzo e sa perfettamente cosa è meglio per lui».
La storia, anche quella recente, ci insegna che ci sono sciatori di alto livello che sono stati anche validi piloti (e viceversa). A conferma dei punti di contatto tra le discipline.
«Diciamo che se impari a misurare gli spazi in corsa, a prendere le curve nel modo giusto in entrata e in uscita, a dominare la traiettoria come si deve, in linea teorica vai bene sia sugli sci sia in auto. Ultimamente ho fatto dei test in macchina al Mugello e a Monza, e ho avuto la conferma di tutto questo. Un po' come accade anche per chi va in bici, abituato a seguire la linea migliore sul percorso».
La tecnologia influisce sempre più nello sport, sci compreso. Quanto è importante sapersi abituare alle novità ed essere flessibili?
«Ho debuttato in Coppa del Mondo dello sci alpino femminile nel 2000, di cambiamenti ne ho vissuti molti in prima persona. Dagli sci lunghi e stretti degli inizi ai più nuovi sci carving larghi e corti. Poi ovviamente cambiano le durezze e i materiali e un'infinità di componenti. Sono proprio costruiti in maniera diversa, quindi non puoi rimanere ancorato al passato perché i nuovi vanno sempre meglio. Però penso sia giusto che anche la tecnologia si sviluppi modellandosi in base agli sciatori».
Su misura?
«Sì, perché poi ognuno ha preferenze ed esigenze tutte sue».
La prima conseguenza del miglioramento della tecnologia si vede nel miglioramento delle prestazioni, in termini di tempi e velocità di punta, che sono sempre più estreme. Qual è stato il tuo rapporto con i cambiamenti di uno sport in continuo aggiornamento?
«Possiamo dire che così come cambiano gli strumenti, così anche uno sciatore deve saper andare avanti e migliorare. Può sembrare un'ossessione che ti porta a voler sempre superare i limiti. Perché non si può aver paura di spingersi più in là, bisogna essere determinati e saper fare sempre uno step avanti. Con la paura purtroppo non si fa molta strada, al massimo puoi rigirarti nel letto più volte prima di dormire».
Poi c'è la parte fisica, quella dell'allenamento, quando si suda per preparare le gare. Lo Slalom Gigante, la tua specialità, è un binomio di potenza e controllo. Come si bilanciano queste componenti?
«L'allenamento è fondamentale prima di tutto per non infortunarsi (Manuela Moelgg non ha mai saltato una stagione per infortunio, ndr). Poi bisogna aprire una parentesi sull'alimentazione che, tornando al discorso di prima, è come il carburante per una macchina: senza non si parte, ma deve anche essere quella giusta per te. Se la mia macchina va a benzina, non posso fare il pieno di diesel. Io, ad esempio, per prepararmi facevo tanta bici con mio fratello Manfred (usando pneumatici P Zero Velo™) tra maggio e luglio, quindi parlo di allenamento di resistenza principalmente. Poi quando si avvicinava la stagione trasformavo tutto in quel che mi serviva di più. Nel mio caso, per lo slalom gigante avevo bisogno di velocità, coordinazione, stabilità, esplosività. Poi come sempre più ne fai e meglio è, perché devi interiorizzare tutto e rendere tutto automatico».
Il tuo soprannome è “la tigre”, perché non ti ferma nulla quando sei davanti alla preda, vedi l'obiettivo. Sugli sci quanto conta la componente mentale?
«In questo sport è pieno di atlete di alto livello, l'aspetto psicologico è quello che ti permette di fare la differenza. Io quando indossavo il pettorale avevo una marcia in più, quando sono davanti alla sfida non guardo in faccia a nessuno. Mentre fuori dalla competizione sono un'altra persona».