Al mondo c'è forse un solo posto dove si può ancora assistere all'esatto momento in cui l'ordinario si spezza e trasmuta, cedendo il passo alla meraviglia, tanto che la cronaca chiede di farsi racconto per poter essere compresa davvero.
Dove anche un rally, senza sforzo, soltanto accadendo, si trasforma in altro: mito da tramandare, prova vivente che la Storia è fatta di storie — e che le storie sono ovunque. Nel vento, nelle pietre, nei volti di chi guarda.
Quel vento è il Ponentino.
Quelle pietre sono travertino.
Quei volti sono di chi, anche senza saperlo, è a caccia dello straordinario e lo incontrerà, se saprà dove guardare.
Quel posto, dove l'unico spettacolo che importa è la meraviglia che nasce, è Roma.
E quel rally è il Rally di Roma Capitale, che dal 2013 prende il via nel breve sospiro di una sera di luglio nella pancia antica dell'Urbe ,per poi disperdersi subito nei boschi che furono dei Latini.
E questi sono gli appunti di un venerdì di d'estate, in cui passioni, odori, rumori, esultanze e paure di una gara di macchine sono solo frammenti di un rito eterno di lotta e competizione che si ripete sempre uguale nelle intenzioni e sempre diverso nei rituali.
A Roma niente conta davvero. Neanche una vittoria.
Del resto, nessuna sorpresa: l'Eterna è così.
Accoglie tutto, digerisce tutto, da sempre.
Non si sorprende mai, sorniona e quasi disinteressata.
Attenta a niente, ma mai indifferente.
Allora che rally sia, che vinca il migliore, ma lo faccia in fretta.
ASCOLTA: SI FA SERA
A guidare verso le macchine la gente, in drappelli sparsi o trascinata da un richiamo imprevisto, è prima il rombo dei motori che s'impone nel caos metropolitano - sudato e vocianti - del quartiere Monti. Poi è la fila delle vetture che, una ad una, ordinate, si posizionano con il muso verso i Fori Imperiali.
L'inferno di auto e bus senza governo di via Cavour sembra mille miglia lontano, eppure è a due passi, con i suoi spritz per turisti e le grocery bangla che non chiudono mai.
Il Colosseo osserva paziente, millenario, stanco, ma pronto ad accogliere l'ennesima folla, mentre lascia defluire lentamente quella appena precedente, dei visitatori che ne hanno percorso le viscere.
Il brusio crescente di tecnici, piloti e pubblico, l'impazienza dei cavalli motore non scuotono le sue pietre, ma accendono i volti attorno, anche se tutti gli occhi sono per lui.
Ha visto ben altro, ha sopportato e alla fine domato anche Attila. Che sarà mai questo?
«Tra poco si inizia». L'annunciatore chiede attenzione.
Per un attimo, gli sguardi sono anche per lui.
È l'attimo perfetto: una nuova cartolina dell'infinito album di Roma comincia lì, dove spettacolo e sacrificio si toccano da sempre.
E i motori del Campionato Europeo Rally sono solo l'ennesimo pretesto.
Le vetture, in fila, con le loro livree ora aggressive ora aggraziate, sfrecciano, lambendo l'anfiteatro per arrampicarsi sul colle Oppio. Rettilinei brevissimi, come il corridoio di casa. Poi curve, a destra, a sinistra, in successione, per rendere più aspra la prova. In alcuni punti, sembra sia scattata la moviola, ma è lì che si apprezza il gesto del pilota, l'imbeccata giusta del navigatore, la scalata di marcia vincente.
I bambini urlano felici, eccitati dalla potenza che avvertono nel tremore dell'asfalto che si impossessa dei loro corpi; gli adulti cercano inquadrature, scorci, esposizione e tempi esatti per immortalare storia e tecnologia in una sola foto da postare immediatamente.
I più furbi guardano per carpirne i segreti le decine di influencer, più o meno influenti, accorsi a caccia di hype.
Roma non collabora. Anzi, lo fa a modo suo.
Le pietre si colorano di rosa e la luce si fa languida, molle, insufficiente a strappare uno scatto decente alla maggior parte degli improvvisati fotografi.
È il tramonto lento di inizio luglio sui Fori Imperiali. E si prende la scena.
Lo spettacolo vero, quello che distrae gli occhi dai bolidi in corsa, sta accadendo altrove.
E infatti gli sguardi, a un certo punto - come gli obiettivi dei telefoni - si alzano, cercano spazio e vanno a caccia non più di macchine, ma delle colonne in controluce nel sole.
Lì la luce è dorata e rende tutto surreale, incantato, altro.
Il rally diventa apparizione fugace, uno dei tanti frastuoni della metropoli, che intanto mette in scena mille altre scene di vita.
È quello il momento nel quale la meraviglia nasce?
DIFFERENTI SIETE VOI
Lo spettacolo è anche altrove, tra chi il nome non lo porta scritto sulla fiancata dell'auto ed è accorso a vedere chi invece ce l'ha.ù
Turisti, tifosi, curiosi, cittadini a passeggio.
Tra loro i nuovi romani: famiglie multietniche, bambini in spalla, passeggini e bandiere. Rumorosi, festanti, colorati. Equilibrati nel rapporto tra generazioni: adulti a far quadrato, minorenni al centro; giovani più numerosi dei vecchi.
Sciamano da piazza Vittorio, dall'Esquilino, da San Lorenzo.
Come si fa a non pensare a Nerone, alla triade forca-farina-festa di ogni imperatore?
La forca è nel loro destino di migranti. La farina nei sacchetti da cui escono cibi di forme, colori e odori di terre lontane. La festa è soprattutto per loro.
Parlano lingue diverse, si confondono con altri stranieri, loro che stranieri, spesso, non vogliono neanche sentirsi: quelli in visita breve, i turisti; quelli che ti fanno imboscate a Termini a mezzanotte e sono estranei anche a se stessi; quelli con accenti italiani diversi dal romanesco, che ridiventano stranieri ogni qualvolta pronunciano un luogo comune maligno sulla Capitale, che sentono di dovere di proferire anche qui.
Ma loro, i nuovi romani, marcano la differenza. Con dignità.
Il travertino lo hanno scoperto attraversando oceani e deserti. Lo calpestano con i loro sandali, che spesso assomigliano a calzari.
Non lo sanno, forse, ma quando al tempio di Minerva si facevano ancora sacrifici Roma era già così: del popolo e delle genti, tutti cittadini uguali dell'Impero.
E IL CRONOMETRO VA
«Ma è un rally, questo?»
La domanda la pone un esperto, di quelli tutto tempi, motori e sottosterzo. Nessun intento polemico: è la sua prima volta al Rally di Roma e il suo è solo humor nord-europeo.
Sa che è rally vero e che da domani, sulle strade aspre di montagna, lo sarà ancora di più. La sua intenzione è solo dire: ma quanto è differente?
Come dargli torto? Le uniche somiglianze con altre gare sono qui: nel rumore, nell'odore di benzina, nei cronometri che scattano ogni tre minuti e che, in questo contesto, sono la dimostrazione pratica che l'eternità è frazionabile.
E, uguale a qualsiasi altro rally, c'è la caccia - eterna e incessante anch'essa - al cappellino Pirelli, il cui logo giallo come il sole e rosso come il fuoco svetta sulla maggior parte delle macchine più potenti e dei piloti più amati.
Per il resto, tutto è diverso. Non c'è fango, non c'è bosco: solo storia e pietra lavorata.
Non c'è attesa vera per il risultato. Alla fine domina la sensazione che ami essere lì ma vorresti essere anche altrove - magari appena un chilometro più in là - a lasciarti andare, ad abbandonarti alla città.
Magari a Campo de' Fiori, per una preghiera laica al filosofo Giordano Bruno, che in quella piazza ci rimise la vita per essere un uomo libero.
Magari a mangiare carciofi al Portico d'Ottavia, dove risiedono da secoli i romani più antichi.
Magari a ripassare - come per caso - per la millesima volta in vita tua davanti alla Fontana di Trevi e sorprenderti ancora.
Magari in uno dei tanti locali dove resiste e si produce una fetta importante della cultura materiale e popolare non solo italiana.
E speri che le macchine vadano ancora più veloci, che le gomme azzannino con più voracità l'asfalto liscio e sfidante, per avere il tempo di farlo.
Roma ti vive intorno.
Questa gara è solo un frammento del suo respiro largo.
BIGHE DA 500 CAVALLI
Intanto, spettatori arrivano, spettatori vanno, o cambiano punto di osservazione.
Chi si muove solo di pochi metri sono quelli che hanno il pass per una o più lounge allestite nei bar affaccio Colosseo.
Anche se non ci sono i personaggi di Paolo Sorrentino, sono comunque le terrazze romane trasferite a terra: cocktail, politica locale, uomini e donne alla moda, l'ultimo libro da non perdersi, la battuta al vetriolo indirizzata a chi ha appena voltato le spalle - che a sua volta fa all'accompagnatore una battuta dello stesso sapore, mentre si allontana. Tutti sanno che è così, tutti fanno così.
Selfie e pose si mischiano in una socialità un po' stanca e casuale, che si gode il Ponentino che finalmente rinfresca i trentanove gradi della giornata.
Roma è relazione. Roma è intenzione di esserci. Roma appare anche quando è.
Intanto, iniziano a gareggiare i “peones”: i meno veloci, gli appassionati veri, la maggioranza dei quasi cento iscritti alla gara, che impegnano soldi e fine settimana interi per sudare nelle tute ignifughe e mangiare polvere a ogni sospiro. L'anima del rally, di qualunque rally, sono loro. I campioni, le star, sono tali perché c'è chi li inseguirà sempre.
La domanda che finora era rimasta sottotraccia, timida e quasi timorosa di essere irriverente, finalmente affiora: chi sta regalando cosa a chi? Il rally a Roma o Roma al rally?
Ci si potrebbe porre la stessa domanda in certi stage della Costa Smeralda, a picco sugli scogli, o attorno all'Acropoli, sulla via di Maratona.
Come lì, la prova speciale della Capitale serve ad aggiungere splendore alla tecnologia. Minimizzandola, umanizzandola, rendendola ciò che, in ultima istanza, è: mezzo e non fine.
Sul trono della prima prova del rally, intanto, siede Boštjan Avbelj, sloveno che corre per l'Italia su un'auto ceca (Skoda Fabia), novello generale dell'Illiria che si prende per una sera l'Impero. Il pluricampione Giandomenico Basso — che vincerà con facilità l'intera gara — preferisce, invece, non strafare.
Ma nessuno ci fa caso.
Lo spettacolo vero è stato altro. Tutti lo sanno, compresi i piloti: raccolgono l'applauso, ma danno crediti all'ambiente che li circonda. Si sentono eroi - a maggior ragione privilegiati - ma non protagonisti assoluti.
Del resto, non lo erano neppure i conduttori di bighe.
Avranno il tempo di rifarsi, ma questa notte no.
ABBRACCIACI ROMA, PRIMA DI ADDORMENTARCI STASERA
Cala il sipario. I Fori Imperiali possono riposare qualche ora prima di essere invasi di nuovo di turisti e innamorati.
Si defluisce, ci si saluta, ci si immerge nelle vie circostanti ancora vibranti.
I piloti e gli addetti ai lavori si avviano verso la Ciociaria, dove Roma inizia a diventare un po' Napoli, e dove si svolgerà la gara vera.
Ma Roma resta.
Forse è per il Giubileo, forse no, ma la città intorno sembra più ordinata, più austera, quasi linda.
E non solo sul campo gara. Pare essersi ritrovata e compiacersene, finalmente.
Anche se fosse solo per effetto di un argentino prima e un americano po,i seduti sul trono più antico del mondo.
Come se l'Urbe avesse deciso, almeno per oggi, di mostrare solo la Grande Bellezza.
Un'autocoscienza rinata che - tra le curve e i cordoli - riemerge come un sorriso antico.
E ti sembra di aver ritrovato un amico che, canzonandoti, dice: «Sono sempre stato qui».
Senza il rombo delle auto, nel traffico ordinario, senti Roma respirare e scivolare nella notte.
Più bella. Più sfacciata. Più indifferente che mai.
Delicata persino tra i murales e i guard-rail di Rebibbia, hub logistico per molti addetti ai lavori del rally.
«Stanotte è per te, e se non tornerò domani è lo stesso…», senti da un'autoradio al semaforo.
E sai che non è un caso.
È Roma che saluta con la voce di uno dei suoi innumerevoli figli di talento.
Mostrando, ancora, l'attimo esatto nel quale l'ordinario si spoglia e diventa altro, per far posto alla meraviglia.