America's Cup 1987-1988, la coppa torna a casa | Pirelli

America's Cup 1987-1988, la coppa torna a casa

America's Cup 1987-1988,
la coppa torna a casa

La prima America's Cup con gli americani nel ruolo di sfidanti inizia nell'inverno 1986 a Fremantle,  20 km da Perth, che è la capitale dell'Australia Occidentale. Un mondo completamente diverso dalla ovattata Newport, dove il tempo si era fermato. E anche il campo di regata non ha nulla a che fare con le brezzoline e la nebbia del Rhode Island: quando soffia il ‘Doctor Fremantle', i cari vecchi 12 metri S.I. sembrano dei cassoni che imbarcano un sacco di acqua finendo sotto le onde.

 

Esattamente all'opposto di quanto molti pensavano, il debutto del ‘circus' in acque lontanissime ha un gran successo, con molte iscrizioni. La novità stimola gli interessi degli sponsor – grazie anche al successo televisivo – e dal punto di vista sportivo, la caduta del mito invita a provarci. Così mentre gli australiani si danno battaglia per scegliere il defender – che sarà Kookaburra III – ci sono ben tredici consorzi impegnati nella Louis Vuitton Cup: sei arrivano dagli Stati Uniti (scontato, ma sarà l'ultimo vero acuto della vela a stelle e strisce), due dalla Francia, uno da Canada, Gran Bretagna e Nuova Zelanda. L'Italia schiera due sfide, quella di Azzurra e quella di Italia.

 

America's Cup 1987-1988, la coppa torna a casa
America's Cup 1987-1988, la coppa torna a casa

Dennis Connor "Stars and Stripes". 23 maggio 1987. (Photo by Brendan Read/Fairfax Media via Getty Images).

 
 

Italiani con mille problemi

Azzurra non è più la gloriosa barca del 1983. Il maremoto negli anni precedenti a Fremantle ha portato ritardi e cambi al vertice, a discapito della preparazione, Prima il siluramento di Mauro Pelaschier rimpiazzato da Stefano Roberti a sua volta sostituito dal ripescato Pelaschier. Il guru Cino Ricci viene dimissionato e il successore Lorenzo Bortolotti si trova contro l'equipaggio. Azzurra 4 che doveva essere la barca di punta, dopo poche prove deludenti è accantonata come un relitto, ma pure Azzurra 3 fatica a trovare un assetto decente.

Il nuovo consorzio Italia – che aveva esordito bene, vincendo il Mondiale di classe in Costa Smeralda nell'estate 1984  - si trova più o meno con analoghi problemi. Il timoniere Flavio Scala viene esonerato, Roberti viene assunto dopo che ha lasciato Azzurra ma finisce su un gommone a seguire le regate. Alla fine il napoletano Aldo Migliaccio è promosso skipper, fermo restando che a comandare saranno i fratelli Enrico e Tommaso Chieffi. Non bastasse la litigiosità del team – che corre per lo Yacht Club Italiano di Genova – si aggiungono i problemi di barca tra il disalberamento di Italia I e la semi-distruzione di Italia II durante un alaggio. A Fremantle verrà usata la prima, messa a punto praticamente durante la competizione.

La rivincita di Big Dennis

Gli errori si pagano: Italia finisce settima nei Round Robin di selezione, Azzurra addirittura undicesima. In semifinale arrivano i favoriti: New Zealand con Chris Dickson al timone; Stars & Stripes di Dennis Conner; USA del suo eterno rivale Tom Blackaller e French Kiss guidato dal mito oceanico Marc Pajot. La Louis Vuitton Cup se la disputano i sorprendenti neozelandesi, ancora a punteggio pieno, contro i ‘guys' di Conner.

Il maestro si dimostra tale: 4 a 1 e i velisti degli antipodi tornano ad Auckland, con la consapevolezza però di essere diventati già super competitivi. Anche perché hanno inventato una novità tecnica, contestata ma rivoluzionaria: il loro scafo Plastic Fantastic - concepito da un trio di geni quali Laurie Davidson, Bruce Farr e Ron Holland - è costruito in vetroresina e compositi. 

L'America's Cup numero 26 inizia il 31 gennaio 1987: non c'è partita tra Stars & Stripes e Kookaburra III, timonata da Peter Gilmour. 4-0 in pochi giorni e il trofeo ritorna negli Stati Uniti. Non nella bacheca del New York Yacht Club ma in quella del San Diego Yacht Club, il circolo che ha scelto Conner per la riscossa. Odiato sempre di più dai soci del club della Grande Mela.

Farsa a San Diego

Si diceva della rivoluzione portata dai neozelandesi. Che hanno molta fantasia e poche remore. Un nuovo sindacato, sempre capitanato da Michael Fay (magnate dell'editoria), trova un cavillo interpretativo nel regolamento e lancia una sfida poche settimane dopo la vittoria di Conner. Per farlo crea uno yacht club senza fissa dimora: la leggenda vuole che la sede del Mercury Bay Boating Club fosse una vecchia Ford Zephir parcheggiata in riva al mare a Whitianga, e che i  primi soci siano stati gli allevatori di pecore della zona. 

Ma Fay non scherza e in base al Deed of Gift che regola l'America's Cup, costruisce uno sloop lungo 36,5 metri. New Zealand, ispirato non poco alle Classi Libera del Garda,  è un maxi – in fibra di carbonio e Nomex - che ricorda le barche delle prime America's Cup: regge un albero di 46,78 metri e ha un equipaggio di 40 persone.  Dato il poco tempo concesso dal regolamento, e non potendo competere con un vecchio 12 metri o realizzare una barca di simili dimensioni, Conner risponde interpretando a sua volta l'atto di donazione: arma un catamarano ad ala rigida. Fay presenta  un immediato ricorso alla Corte Suprema di New York che salomonicamente sentenzia: «Avete le vostre barche? Allora usatele. Per chi si porterà la Brocca a casa poi si vedrà!».

Davanti a San Diego, il 7 settembre 1988 va in scena la più assurda edizione dell'America's Cup: Stars & Stripes ‘gioca' con l'avversario, rifilando distacchi abissali perché un catamarano di 60 piedi è imprendibile per un monoscafo, anche se delle dimensioni di New Zealand: 18 minuti nella prima regata, 21 nella seconda. Conner aggiunge un altro sigillo alla sua leggenda ma ha capito due cose: d'ora in poi i tribunali saranno ancora più importanti che in passato e i neozelandesi hanno le carte in regola per vincere.