Mascherine, silenzi e motori: la ripartenza della Formula 1

Spielberg, domenica 5 luglio 2020, ore 15. Sulla griglia di partenza del Red Bull Ring ci sono venti monoposto, pronte a dare il via alla trentanovesima edizione del Gran Premio d'Austria. Questa potrebbe essere la didascalia di una foto, non particolarmente differente da tante foto degli oltre mille Gran Premi disputati nella storia della Formula 1 ma questa gara è assolutamente speciale e, speriamo tutti, irripetibile. Già, perché 114 giorni prima, dall'altra parte del mondo, la Formula 1 – come più o meno contemporaneamente tutti gli sport e gran parte dell'attività sociale nel mondo – aveva chiuso i battenti, fermata dall'esplosione della pandemia del COVID-19.

Riavvolgiamo quindi il nastro e torniamo a venerdì 13 marzo, all'Albert Park di Melbourne. Giovedì pomeriggio sono stati trovati i primi positivi al test per il COVID-19 all'interno di un team e ormai tutto fa presupporre che la gara non si farà. La notte in tanti l'hanno trascorsa insonni, chi in riunioni con la FIA e la F1, chi in contatto con le autorità di ogni Paese, chi iniziando a studiare dei piani logistici di emergenza per riportare indietro tutto il personale arrivato in Australia per l'inizio della stagione. Quando comincia ad albeggiare, nonostante una spaccatura fra le squadre, il dado è, nei fatti, tratto: la gara è annullata. Qualcuno, compreso anche un paio di piloti, non ha aspettato nemmeno l'ufficialità: nella notte ha fatto armi e bagagli ed è corso all'aeroporto di Tullamarine per imbarcarsi sul primo aereo disponibile con destinazione Europa, dovunque sia ancora possibile atterrare.

La mattina dopo il pubblico comincia ad affluire al circuito mentre le squadre vanno in pista soltanto con il personale sufficiente per smontare i box e preparare tutto il materiale per tornare a casa. Alle dieci del mattino, Chase Carey ci mette la faccia e va davanti ai media per dare l'annuncio ufficiale: anche la F1 si ferma.
Dopo il ritorno a casa ci si rende conto che la massima competizione automobilistica non rischia soltanto di perdere una stagione ma anche di non sopravvivere. I team privati dipendono dallo svolgimento delle gare e dagli introiti che ne derivano e quelli affiliati ai grandi costruttori devono fare i conti con la crisi più generale che coinvolge l'industria automobilistica, in tanti finiscono in cassa integrazione, qualcuno anche a spasso anche perché non si ha la minima idea di quando si potrà ricominciare: a vivere normalmente e, magari, a correre.

È qui che la Formula 1 come sistema compie una specie di miracolo. Per la prima volta si accantonano personalismi, rivalità, sospetti. Sotto la guida di Chase Carey, un uomo cui nessuno può imputare di fare favoritismi, e di Jean Todt, che da presidente della FIA ha dimostrato di non farsi condizionare da nessuno, arriva la reazione. Un anticipo sui premi, il rinvio al 2022 del nuovo regolamento tecnico, un congelamento quasi totale delle monoposto già costruite, un'ulteriore riduzione del budget cap a partire dal 2021 e un contingentamento dell'uso della galleria del vento: sono mosse concrete che danno una prospettiva. Bisogna però tornare in pista, il prima possibile.
Con l'avanzare della primavera, la pandemia comincia a perdere forza, grazie alla disciplina e alla coesione della popolazione ai quattro angoli del mondo. Così si può iniziare a tornare ad una parvenza di normalità ma certamente lo sport non è una priorità. Eppure, la Formula 1 non perde di vista l'obiettivo di organizzare un campionato del mondo, perlomeno di 15 appuntamenti in modo da potersi garantire i ricavi derivanti dai diritti televisivi. Per riuscirci, però, ci vuole la volontà di tutti i partecipanti – squadre, piloti, commissari di percorso, personale di sicurezza, federazione, organizzatori – di accettare di correre seguendo regole di comportamento rigidissime per ridurre al minimo – eliminarlo è impossibile – il rischio di contagio.

Si comincia a disegnare un calendario, partendo ovviamente dall'Europa. La Red Bull mette a disposizione il suo circuito, addirittura per due gare, lo stesso fa Silverstone e, in mezzo, si offre Budapest. È un inizio, ci si dà appuntamento per il 5 luglio, appunto, al Red Bull Ring. Ci si ritrova lì, col viso parzialmente coperto da mascherine multicolori, segregati in bolle e sottobolle, uniti dalla voglia di correre. Le tribune sono vuote, il silenzio è opprimente ma in televisione ci sono decine di milioni di spettatori che non vedono l'ora di distrarsi un po' e non pensare alle restrizioni quotidiane. In macchina ci sono gli stessi venti piloti che avrebbero dovuto sfidarsi a Melbourne più di quattro mesi prima. Vince Valtteri Bottas con la Mercedes, davanti alla Ferrari di Charles Leclerc e alla McLaren di Lando Norris.
Vince tutta la Formula 1, tornata in pista a dispetto di ogni previsione, il primo sport a dire stop al COVID-19.

