La Haas spegne duecento candeline

Sarà un Gran Premio speciale per la Haas, che arriva alla sua duecentesima presenza in Formula 1. Cifra tonda, che val la pena celebrare in maniera particolare: ecco quindi – peraltro sulla falsariga di quella che ormai sta diventando una moda in Formula 1 – un variante della livrea della vettura di Esteban Ocon e Oliver Bearman, con il numero 200 in evidenza proprio accanto all'abitacolo.

Il cammino della Haas in un fine settimana ufficiale era iniziato 3375 giorni fa in Australia, giovedì 17 marzo 2016. Da allora tant'acqua è passata sotto i ponti e la squadra americana più longeva nella storia della Formula 1 ha attraversato tanti alti e bassi ma è riuscita a trovare il suo posto in uno sport sempre più competitivo anche grazie ad un approccio organizzativo particolare: la sede ufficiale in America, a Kannapolis (North Carolina), una base operativa a Banbury, in Inghilterra, un reparto tecnico a Maranello, a casa Ferrari che del team sin dall'inizio è fornitore della power unit e di tanto altro, e un partner come Dallara, a Parma. Una formula originalissima, che ha permesso alla squadra di mettere radici robuste e di resistere anche nei momenti più tempestosi, come quello che seguì lo scoppio della pandemia nel marzo 2020, quando la sopravvivenza stessa di alcune squadre fu messa in dubbio.

Un'idea, quella di creare una squadra americana in Formula 1 utilizzando l'esperienza delle due motorsport valley europee – quella dell'area che va più o meno da Londra a Birmingham in Inghilterra e quella che si estende lungo la Via Emilia in Italia – mettendo insieme partner diversi senza investire in infrastrutture costose e sfruttando ogni piega del regolamento, che ha un'origine che risale alla fine del primo decennio del secolo. Il 2009 fu l'anno in cui tre nuove squadre – Campos Racing, Manor Grand Prix e USF1 – s'iscrissero al mondiale dell'anno successivo, abbacinate dall'illusione alimentata da Max Mosley, allora presidente della FIA, di poter competere alla pari delle altre squadre grazie all'introduzione del budget cap.

Di quelle tre caravelle soltanto due, quelle che almeno avevano una tradizione sportiva consolidata – Campos e Manor erano squadre da lungo tempo impegnate nel motorsport - arrivarono al porto del Gran Premio del Bahrain, prima gara della stagione 2010, peraltro sotto altre bandiere: quella della HRT e quella della Virgin. La terza, portatrice del sogno di riportare la bandiera a stelle e strisce in Formula 1, era affondata prima ancora di salpare per il Golfo Persico, vittima dell'inconsistenza del progetto e dell'atteggiamento velleitario di chi lo dirigeva. Eppure, alle spalle c'erano investitori del calibro di Chad Hurley, uno dei fondatori di YouTube. Proprio da una conversazione con Hurley entrò in scena un personaggio Gunther Steiner, un uomo che aveva seguito la nascita del team Red Bull prima in F1 e poi nella NASCAR e che allora si era dedicato ad un suo business personale, la Fiberworks Composites, con sede a Mooresville, in North Carolina, là dove sorge la motorsport valley americana.
Steiner propose ad Hurley di cercare di perseguire un'altra strada rispetto alla creazione di una squadra dal foglio bianco, vale a dire quella di acquistare una monoposto direttamente da una squadra esistente. Va ricordato che all'epoca la spinta per aprire la porta ad un vero e proprio team cliente, come esiste ad esempio in MotoGP, era molto forte, soprattutto da parte di chi – come la Ferrari – vedeva questa come la strada migliore e più efficace per rimpinguare le fila di una Formula 1 che stava perdendo rapidamente i pezzi: a fine 2008 se n'era andata la Honda, dalle cui ceneri era risorta l'araba fenice Brawn GP, e nella seconda parte del 2009 prima BMW e poi Toyota annunciarono la loro uscita dallo sport, lasciando le rispettive squadre sull'orlo del baratro. La tesi di Maranello era chiara: meglio un team cliente, ponendo fine ad una tradizione che voleva ogni squadra dover costruire da sola il suo telaio, ma competitivo piuttosto che tentativi avventurosi da parte di personaggi a volte equivoci, facilmente ostaggio del blocco Ecclestone-Mosley.

Purtroppo, quella strategia non ebbe sviluppo, perché la coesione fra le squadre nella FOTA non era così forte da portare avanti una simile rivoluzione. A posteriori la storia dette ragione a chi propugnava quella rivoluzione, visto che di quelle squadre si perse traccia abbastanza rapidamente, ma il seme cominciò a germogliare, partendo da un piatto di tortellini. Nell'autunno 2009 Steiner si era recato in Dallara per esplorare la possibilità di acquistare per la USF1 il telaio che Dallara stava costruendo per la Campos, poi svanita perché gli spagnoli riuscirono a trovare i soldi per pagare l'azienda italiana. Ne approfittò per fare una deviazione fino a Maranello e andare a pranzo con Stefano Domenicali, allora team principal della Scuderia. Da quella chiacchierata si svilupparono dei discorsi su come, eventualmente, la Ferrari avrebbe potuto collaborare con un team che doveva costruirsi da zero, uno scenario che, qualche anno dopo, sarebbe diventato realtà. In mezzo, l'incontro di Steiner con Gene Haas, che s'incuriosì dell'idea di Steiner, trasformata nel tempo in un dettagliatissimo business plan, e dopo lunghe riflessioni in un vero e proprio progetto: nell'aprile 2014 arrivò la licenza della FIA, a giugno l'annuncio del 2016 come anno d'esordio. Un impegno mantenuto.
Un quinto posto nel 2018 è stato il piazzamento migliore della Haas nel campionato Costruttori mentre la pole position di Kevin Magnussen in Brasile nel 2022 è stata la vetta più alta raggiunta finora, con lo stesso pilota danese, di gran lunga il più presente nella storia della squadra (146 GP) autore tre volte del giro più veloce in gara. Manca ancora la gioia del podio ma la squadra è ormai una protagonista della Formula 1 contemporanea ed è diventata, grazie anche all'esuberanza di Steiner – è lui la vera stella di sei stagioni di “Drive to Survive”, altro che Hamilton e Verstappen! -, una delle più popolari. Chi l'avrebbe mai detto quel giorno a Melbourne nel 2016.