In conversazione con Felix Lowe
Quando Pascal Gabriel è partito da casa sua in Provenza all'inizio di luglio 2017 per un normale giro in bici, non aveva in mente che sarebbe finito per scalare il Mont Ventoux. Tornato a casa dopo oltre quattro ore e 90 chilometri, ha consultato i dati del suo ciclocomputer e ha veramente realizzato di essere riuscito a scalare il "Gigante della Provenza" nel suo miglior tempo personale. Non sapeva però ancora una cosa, cioè che i sentimenti e i numeri che l'hanno accompagnato in questa impresa, sarebbero poi diventati la base di partenza per un album concettuale ricco di emozioni soltanto qualche anno dopo.
"Avevo un ginocchio malandato e non avevo dietro nemmeno un gilet", ricorda Gabriel di quel giorno, accennando ai freddi venti maestali che possono colpire la cima esposta agli elementi di una montagna il cui nome deriva proprio dalla parola francese per ventoso: venteux. "Non avevo assolutamente pianificato di farlo, e di certo non avevo pianificato di farne poi anche un album".
Ma dopo aver pedalato attraverso i pittoreschi vigneti locali, Gabriel ha raggiunto la piccola città di Bédoin, ai piedi del Mont Ventoux, ha cambiato programma rispetto al suo itinerario di partenza decidendo di iniziare la scoraggiante salita di 21 chilometri, capace di intimorire anche i ciclisti più esperti. "Pensavo di salire fino allo Chalet Reynard", dice, riferendosi al ristorante sopra la linea degli alberi ai piedi della stazione sciistica. Però poi ha continuato a pedalare, mettendo alla prova le sue gambe ancora energiche dopo l'iniziale pedalata bucolica, dove la leggera pendenza "non è poi così dura". Questo, col tempo, sarebbe stato poi il punto di partenza per costruire la base del primo dei tre movimenti di un album ancora in fase di definizione.
L'essenza del secondo movimento si sarebbe trovata nella parte "molto demotivante e spiacevole" della salita che emerge nel fitto e claustrofobico bosco dopo la "brusca svolta a sinistra, a Saint-Estève". È qui, dove la strada si raddrizza e la pendenza aumenta, che si affronta "il momento più introspettivo e meditativo" della salita. Sebbene Gabriel dica che di solito c'è "meno distrazione durante le sfide personali" in questa fase "infernale", in questo giorno, la presenza sfidante di un altro ciclista lo ha spinto ad andare avanti.
"Mi sono arrabbiato un po' nel bosco", ammette, citando un tedesco dal respiro pesante che continuava a sorpassarlo per poi fermarsi sul ciglio della strada. "Non voglio giudicare, ma mi ha un po' dato fastidio." Quando ciò è accaduto per la terza volta, Gabriel ha pensato che fosse arrivato al limite e ha deciso di seminarlo. "In questo modo sono riuscito ad uscire dalla mia zona di comfort, perché volevo solo che se ne andasse."
Spronato da questo aneddoto marginale ("la rabbia è energia", riflette) Gabriel riesce a raggiungere lo Chalet Reynard, ma si rifiutò di gettare la spugna. "Ho visto che avevo fatto un ottimo tempo, quindi ho pensato che avrei potuto anche arrivare in cima." Ora riusciva a vedere la stazione meteorologica in cima mentre saliva lentamente a zig-zag lungo la strada costeggiata da ghiaioni, mentre l'aria si assottigliava a ogni pedalata. Ma l'avventura era tutt'altro che prossima alla fine.
"Sei fuori dal bosco, ma sei di nuovo al sole, hai caldo e sei stanco. È ancora molto difficile in alcuni punti, [con una pendenza] tra il 5 e il 12%, e sembra che non ci si avvicini mai alla vetta", dice. È proprio questo il paesaggio lunare che ha fatto guadagnare al Mont Ventoux il soprannome di "Montagna Calva". E mentre alcune delle più grandi stelle del ciclismo hanno trionfato sulla sua cima, tra cui Eddy Merckx, Marco Pantani e Chris Froome, ha anche tragicamente causato la morte di Tom Simpson durante il Tour de France del 1967.
Per Gabriel, arrivare in cima non portò ad alcuna vittoria. Si è semplicemente goduto il panorama, si è voltato e poi è tornato giù a Bédoin. Il suo tempo di un'ora, 46 minuti e 43 secondi rimane la sua scalata più veloce di una montagna così iconica, che richiede enormi sforzi al fisico, allo spirito e alla mente di qualsiasi ciclista. E quando, nel 2019, gli è venuta l'idea di integrare i suoi dati biometrici di quell'ascesa nella sua musica, la montagna avrebbe fornito non solo il nome, ma anche i battiti, i ritmi e l'ispirazione dietro questa articolazione splendidamente realizzata dell'esperienza di salire sul Mont Ventoux.
"È un'opera sinfonica per una montagna mitica che si basa su alcuni temi ricorrenti", dice Gabriel di 1:46:43 – The Ventoux Trilogy, la sua coinvolgente esplorazione auricolare di una faticosa salita diversa da qualsiasi altra.
FL - Quando ti è venuta l'idea di The Ventoux Trilogy?
PG - Dopo 35 anni di musica pop tradizionale, volevo sperimentare qualcosa di diverso. Ero stato un ragazzo da dietro le quinte, che produceva e scriveva con gli artisti dalla metà degli anni '80, e questo alla lunga mi aveva lasciato un senso di frustrazione. Così ho creato il personaggio di Stubbleman e ho scritto un album ispirato a un viaggio on the road da costa a costa attraverso gli Stati Uniti. Per il mio secondo album, ho sempre avuto l'intenzione di sposare il mio amore per il ciclismo e la musica. Volevo trovare un modo per trarre ispirazione musicale dalle sensazioni che si provano durante una corsa lunga e dura. All'inizio ho fatto alcune uscite sul Mont Ventoux con una Go-Pro. Poi, durante la riproduzione, ho messo alcune note quando passavo davanti a un albero oppure qualche costruzione artificiale. Ma mi sono accorto che non funzionava bene come desideravo.
FL - Quando è arrivata la svolta?
PG - Mi sono imbattuto in un software chiamato Photosounder, che trasferisce file visivi in droni musicali. Ho pensato quindi di poter usare i dati del mio ciclocomputer: la mia frequenza cardiaca, la velocità di movimento, la cadenza e la potenza. Così ho personalizzato ciascuno di loro, li ho inseriti in Photosounder per un'ora, 46 minuti, 43 secondi e ho giocato poi con i risultati. Ho scelto il mio miglior tempo sul Ventoux semplicemente perché così avrei dovuto scrivere meno musica!
FL - Come hai integrato le sensazioni dietro i numeri durante il processo creativo?
PG - All'inizio, è stato un esperimento tecnico piuttosto buono e interessante, ma non era ancora in grado di riflettere l'emotività di ciò che volevo creare. Mi sono ricordato di aver incontrato la figlia di Tom Simpson, Joanne, a una riunione per commemorare 50° anniversario della sua morte. Eravamo saliti tutti in cima al Ventoux. In seguito, Joanne ha tenuto un discorso alla sua lapide e ha detto: "Volevo davvero percorrere gli ultimi 800 metri che mio padre non ha mai percorso, vedere i panorami che non ha mai visto". È stato davvero commovente. Ricordare questo mi ha fatto pensare a come la mia musica divesse riuscire a riflettere le emozioni forti che una salita come questa ha da offirire.
Sono tornato al tavolo da disegno con quei quattro droni [musicali] e fondamentalmente ho iniziato a sperimentarli con il pianoforte e i sintetizzatori per vedere cosa ne veniva fuori. Alla fine, da un unico pezzo lungo ho ottenuto 18 pezzi distribuiti su tre movimenti. L'ultima canzone dell'album, An Everlasting Universe of Things, è dedicata a Tom. Ogni volta che passo davanti al suo memoriale, gli faccio un cenno con il mio cappello immaginario. Immagino sempre che la sua ombra, il suo angelo, se vuoi, mi venga a prendere e percorriamo insieme le ultime pochecentinaia di metri. È un pensiero meraviglioso.
FL - C'è un momento preciso nella canzone che corrisponde al momento in cui hai superato il memoriale di Simpson?
PG - In realtà c'è, quando una melodia di contrappunto sostenuta taglia la percussione. L'ho suonata con il theremin, uno strumento etereo che si suona senza toccarlo, piuttosto magico e fugace. Ho presentato in anteprima i primi schizzi di composizione del brano al London Jazz Festival e la gente ha iniziato a piangere. Non avevo realizzato che sarebbe stato così potente.
FL - Perché il Mont Ventoux? Cosa lo rende così speciale?
PG - È una montagna solitaria nel mezzo di una pianura, circondata dal nulla per 200 chilometri. Nel corso dei secoli è diventato una specie di semidio per la gente del posto. C'è qualcosa di spirituale nella salita che non ho mai provato su nessun'altra montagna. È più profonda e più magica. La canzone On The Edge of Presence coglie il momento in cui ti senti così piccolo rispetto alla grande natura del Ventoux. Improvvisamente agisci senza esitare, sei sull'orlo di connetterti appieno con il tuo essere, proprio perché sei circondato da una tale magnificenza.
FL - Perché il ciclismo è così importante per te?
PG - Ho iniziato a pedalare 15 anni fa e ora io e mia moglie possediamo ben 17 biciclette! Il ciclismo è uno sport meraviglioso. Puoi pedalare sulle strade percorse dai grandi di questo sport, sul loro terreno consacrato. Ogni volta che percorro il Ventoux, mi viene in mente che Pantani era lì, Merckx era lì, tutti i grandi erano lì, e ti viene data la possibilità di farlo gratis. Si sperimentano le stesse strade, lo stesso dolore dei grandi - anche se un po' più lentamente.
FL - Quanto è stato importante ottenere l'approvazione dalla comunità ciclistica?
PG - Ho cercato di creare un progetto completamente personale, quasi egoistico. L'ho fatto per compiacere me stesso e se la gente lo ama, è fantastico, ancora meglio. La mia intenzione non è mai stata quella di vendere un milione di copie, ma piuttosto di fare un album di cui fossi pienamente soddisfatto. Ma ho sempre sperato che la comunità ciclistica lo capisse. Per fortuna, la reazione è stata fantastica. Ho sempre voluto che gli altri ciclisti dicessero: "Ho capito, sono lì, a metà del Ventoux".
Si può ascoltare The Ventoux Trilogy come un brano musicale superficiale da tenere in sottofondo mentre cucini, ma puoi anche sederti sulla tua sedia preferita, mettere le cuffie e sentire molti più dettagli, scoprendone le varie parti e la loro complessità. Le cose cambiano in modo molto sottile nel corso di un lungo periodo di tempo. E ti troverai a chiederti: "Oh, come sono arrivato qui? Non me l'aspettavo". Questa è l'idea, in realtà: fare un viaggio sonoro, come un percorso che ti trasporti lì.
FL - Il tuo amore per il ciclismo è rafforzato dall'essere anche un musicista?
PG - Sì, c'è qualcosa di musicale nei ritmi incrociati e nella ripetizione del ciclismo, ma anche l'aspetto zen e meditativo è piuttosto importante. Spesso ho risolto alcuni problemi musicali che avevo in studio proprio mentre pedalavo in sella. Ho il ritmo della traccia musicale in testa, come una specie di vaga fusione fra la cadenza del ritmo, la mia velocità o la mia frequenza cardiaca, e penso: "Oh, sì, forse se lo faccio, e potrei semplicemente tagliare un battito lì..."
FL - Scendere da una montagna potrebbe mai suscitare in te le stesse sensazioni che ti da l'affrontare una salita?
PG - No, perché le discese mi stressano. Bisogna concentrarsi sui freni, cercando di mantenere la calma e per riuscirci fischietto tra me e me, così da rimanere rilassato e cercare di non schiantarmi. Inoltre, non mi vengono idee musicali quando scendo. Ma quando ti impegni fisicamente in una salita, le emozioni prendono il sopravvento. Tutti i miei problemi quotidiani smettono di preoccuparmi. La salita riesce a liberare i contenuti emotivi che tengo sepolti nel profondo. E penso che il Ventoux lo faccia emergere più di altre salite.
FL - Il ciclismo e il Mont Ventoux sono al centro dell'album. Ma di cos'altro tratta The Ventoux Trilogy?
PG - Parla della condizione umana. Di come gli sforzi influenzano i tuoi sentimenti e di come la natura e lo sforzo si combinano. Riguarda anche la vita e la morte. È una di quelle montagne dove accadono cose strane. Tom Simpson è morto affrontandola, Froome ha dovuto risalirla correndo [dopo un incidente]... è una salita veramente dura e la gente spesso la sottovaluta.
C'è una parte della salita prima di arrivare allo Chalet Reynard che, per me, è sempre il momento più difficile. È una fase ancora abbastanza ripida, il paesaggio si sta iniziando a diradare un po', ma ti senti davvero solo. È in quel momento che penso sempre agli amici e ai familiari che sono morti. Non so perché. È strano. Ecco di cosa parla davvero [la canzone] Alone for Nine Minutes. Riguarda il sentirsi un po' soli nel mondo. Perché sono qui? Dove sono? È un pezzo piuttosto triste. Il mio terzo album, Symphony for the Departed, approfondirà questo tema. I brani sono basati su città, villaggi o luoghi che associo a persone che ho conosciuto e che non ci sono più.
FL - Consiglieresti di ascoltare The Ventoux Trilogy mentre sei in sella?
PG - Non ascolto mai musica quando vado in bicicletta. Mi piace concentrarmi sui suoni che ho intorno, degli uccelli, del vento, del rumore delle ruote sull'asfalto. Per me, questo fa parte della bella esperienza del ciclismo. Mi piace sentire il mio cuore e il mio respiro: fa tutto parte dell'atmosfera. La musica va vissuta dopo, come un ricordo, o anche prima eventualmente. Un ragazzo mi ha inviato un'e-mail e ha detto: "La prossima settimana subirò un intervento a cuore aperto e quando uscirò voglio fare il Ventoux, e questo disco mi sta davvero portando lì". Come artista musicale, questo tipo di commenti sono i migliori. Lavori in un vuoto nel tuo piccolo studio per due anni per fare un album, poi quando riesci a influenzare qualcuno in questo modo, gli dai la speranza di uscire e riuscire ad affrontare proprio quella sfida.
Crediti: James Startt