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Divertirsi alla grande

L’architetto e imprenditore Ferdi Porsche, ispirato dalla storia della sua famiglia, ha deciso di far rivivere una storica gara su ghiaccio austriaca. In questa intervista con Shane Richmond, racconta la sua visione di come rendere il mondo dell’automobile più accessibile

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In conversazione con Shane Richmond

 

Trovare uno pneumatico chiodato nel garage di tuo padre non porterebbe la maggior parte delle persone a lanciare un marchio automobilistico di fama mondiale. Ma se il tuo cognome è Porsche, e tuo padre è il presidente dell'azienda che porta il nome della famiglia, allora le automobili e le corse fanno parte del tuo DNA. Così, quando Ferdi Porsche chiese a suo padre, Wolfgang, notizie su quello pneumatico, scoprì che la sua famiglia aveva avuto in passato stretti legami con una gara automobilistica annuale su un lago ghiacciato a Zell am See, in Austria.

Courtesy Foto: Ferdinand Porsche

All'epoca Ferdi aveva 26 anni e stava studiando come architetto, desideroso di costruirsi un percorso personale lontano dal mondo delle auto. Ma quella gara sul ghiaccio accese la sua immaginazione e lo portò a rivivere la tradizione, organizzando una nuova competizione su ghiaccio per automobili in un ex aeroporto nei pressi di Zell am See. Gli appassionati arrivarono da tutto il mondo, e oggi si corre su quel circuito con veicoli di ogni tipo — dalle vetture d'epoca fino alle auto di Formula 1.

Oggi, il progetto si estende ben oltre le Alpi. Sotto il marchio F.A.T. International, Ferdi ha creato un team globale che organizza gare in Austria e negli Stati Uniti, produce la propria linea di abbigliamento e sostiene una lega di karting amatoriale pensata per rendere le corse accessibili a un numero sempre maggiore di giovani. La sua visione abbraccia tradizione, design e, soprattutto, divertimento.

Quando hai provato per la prima volta a guidare sul ghiaccio?

La prima volta è stata durante un viaggio tra uomini in Finlandia con mio padre e mio fratello. Era un regalo di compleanno per mio fratello, ma credo che mio padre volesse anche insegnarci a guidare in sicurezza sul ghiaccio. Abbiamo guidato sia auto a trazione integrale che a due ruote motrici, e ci siamo divertiti un mondo a farle sfrecciare e derapare.

Sono stati tre giorni fantastici — uno dei viaggi più belli di sempre — e probabilmente è per questo che ho colto al volo l'occasione di organizzare una gara su ghiaccio, perché già conoscevo quanto potesse essere divertente.

Le gare originali a Zell am See si sono concluse molto prima che tu nascessi. Cosa hai scoperto su quel periodo e sul ruolo che ha avuto la tua famiglia in quelle competizioni?

La gara si tenne per la prima volta nel 1952, in onore del mio bisnonno, che già allora era considerato un pioniere nel mondo dell'automobile.

La mia famiglia aveva una seconda casa a Zell am See, quindi partecipava attivamente all'evento, anche se mio padre non ci andò mai perché si svolgeva durante il periodo scolastico. Negli anni Cinquanta e Sessanta, circa 10.000 persone si riunivano ogni anno sul lago ghiacciato per assistere alle gare di Porsche 550, 356, Maggiolini Volkswagen e altre auto che trainavano sciatori dietro di loro.

Se il lago non era completamente ghiacciato, le corse si spostavano sull'aeroporto — l'esatto luogo dove si svolgono ancora oggi. All'epoca era qualcosa di folle, pericoloso ed emozionante, ma la tradizione scomparve nel 1974.

Hai organizzato la tua prima gara su ghiaccio nel 2019 e l'hai definita come un evento che privilegia “il divertimento rispetto alla velocità”. Cosa la rende così speciale?

È difficile rendere le corse su ghiaccio davvero competitive, perché la pista cambia con la temperatura durante il corso della giornata. Sul ghiaccio non sei mai veramente veloce: ci si danza sopra e l'auto non è mai davvero stabile. Non potrà mai essere la gara più equa del mondo, ma è proprio qui che si trova la sua bellezza — ed è per questo che ho detto che più che della velocità, sul ghiaccio conta il divertimento.

Cerchiamo di avere il maggior numero possibile di auto diverse che partecipano all'evento. Nel tempo abbiamo visto partecipare veramente di tutto: da una Trabant fino a Max Verstappen con la sua Red Bull di Formula 1 — riusciamo a coprire veramente l'intero spettro automobilistico. Rimane pur sempre una competizione, ma credo che si tratti soprattutto di usare l'auto come punto di partenza per una conversazione, e poi costruirci intorno qualcosa di divertente, emozionante e rumoroso — lo vedo più come un festival che come una corsa. L'obiettivo è coinvolgere persone che magari non sono ancora appassionate di auto, facendolo attraverso cultura, musica, arte, e offrendo una visione innovativa e fresca di un evento automobilistico.

Come si può partecipare all'evento?

Chiunque può iscriversi, con qualsiasi auto. Ogni anno selezioniamo le vetture più belle o più particolari — circa 120, suddivise in diverse categorie: trazione integrale, trazione posteriore o anteriore, auto storiche e buggy. C'è persino una categoria di skijöring, in cui uno sciatore viene trainato da un'auto. Le velocità sono moderate — intorno ai 90-100 km/h — e le barriere ai lati del tracciato sono di neve. La cosa più bella è il mix che si crea in pista: i principianti assoluti possono schierarsi accanto a piloti esperti e avere comunque la loro possibilità di farcela.

Si può essere “bravi” nelle corse su ghiaccio?

Credo che questo sia più una questione di allenamento. Parlo per esperienza personale: negli ultimi anni sono migliorato moltissimo. Certo, serve anche talento — ad esempio, abbiamo avuto il pilota di Formula 1 Valtteri Bottas sul ghiaccio, e ad un certo punto ero testa a testa con lui. Poi gli è bastato mezzo giro per capire come fare e trovare la traiettoria perfetta!

Com'è nata F.A.T. International?

Quando è arrivato il Covid, ho avuto la possibilità di riflettere in modo più strategico su ciò che stavamo facendo. Volevo creare qualcosa che mi permettesse di andare oltre la semplice gara su ghiaccio. La prima cosa che ho fatto è stata guardare tutte le vecchie auto Porsche Le Mans, perché cercavo qualcosa che avesse un'eredità per concretizzare meglio l'idea che avevo in mente. Mi sono imbattuto in F.A.T. International, un'ex azienda di logistica che non esisteva più. Erano autotrasportatori che avevano sponsorizzato le Porsche a Le Mans, vincendo la gara due volte. È una storia da outsider, e rappresentava perfettamente ciò che volevo per il marchio. Due anni dopo l'ho lanciata: oggi è una collezione di elementi diversi che insieme creano una mia visione personale di ciò che dovrebbe essere il mondo dell'automobile.

Hai allargato il tuo business negli Stati Uniti e hai ottenuto un seguito internazionale. Perché pensi che questo progetto abbia trovato una risonanza così ampia?

In parte perché la scena automobilistica americana è estremamente creativa, ma anche perché, ovunque nel mondo, le persone sono sempre alla ricerca di esperienze autentiche. Il primo anno in cui abbiamo organizzato l'evento in Austria, sono rimasto stupito dal numero di persone che si sono presentate. Ora abbiamo una gara in Austria e un'altra a Big Sky, nel Montana. I partecipanti arrivano da tutto il mondo: è diventata una comunità che attraversa i continenti, unita dall'idea che guidare possa tornare a essere un gioco, un piacere.

F.A.T. International è ormai molto più di una gara su ghiaccio. Vuoi raccontare qualcosa sulla Karting league?

Sì certo, è uno dei progetti che mi entusiasma di più. Il karting tradizionale è incredibilmente costoso: le famiglie possono arrivare a spendere fino a 250.000 euro a stagione per permettere al proprio figlio di magari 15 anni di correre in modo professionale. Questa nostra iniziativa è una joint venture con Rob Smedley (ex ingegnere Ferrari e Williams) che ha avuto l'idea di creare un sistema che sia basato sul talento, una lega di karting “arriva e guida”, che riduce i costi del 96%. Ora una stagione costa circa 5.000 euro. L'obiettivo è quello di rendere le corse accessibili, una scelta che diventi normale per i giovani da intraprendere, che richieda lo stesso impegno di prendere lezioni di pianoforte per esempio. È un sistema meritocratico: ogni pilota riceve un kart elettrico assegnato casualmente, così tutta l'attenzione si concentra sul talento puro, che è quello che fa la differenza. Possiamo anche regolare la potenza dei kart, rendendoli ad esempio più adatti anche ai bambini più piccoli che stanno appena imparando a guidare.

La nostra idea di base è che i migliori piloti possano passare ai livelli superiori, con l'obiettivo finale di portarli fino alla Formula 4 con il nostro team. Si tratta di riuscire ad offrire ai giovani un percorso che prima semplicemente non esisteva.

L'attenzione ai dettagli fa parte del DNA di Porsche. In che modo questo si riflette in ciò che fai?

Uno dei motivi per cui il motorsport un tempo era così popolare è che tutto quello che lo riguardava aveva un'eleganza unica. Se però si guarda il motorsport di oggi, tutto è diventato esteticamente meno affascinante. Non esiste una sola livrea che sia veramente elegante, e ogni macchina ha centinaia di migliaia di loghi appiccicati sopra. Noi vogliamo riportare l'attenzione anche sul design grafico. La nostra auto da endurance per il World Endurance Championship ad esempio è tutta bianca, con un'ala verde neon e un solo logo rosso. Anche se, alla fine, ci siamo comunque ritrovati con qualche adesivo posizionato non esattamente dove lo avevamo previsto in origine!

Forse, dopotutto, la vera attenzione al dettaglio sta più nell'ingegneria che negli adesivi sulla carrozzeria.

 

 

Foto Credits: Car&Vintage