Nel 2005, dalla collaborazione con Pirelli, il Comune di Milano e alcune cooperative sociali con l'Università Bicocca nasce il Nido Bambini Bicocca. A vent'anni di distanza, il progetto continua a evolversi, anche attraverso la recente costituzione della Fondazione Bambini Bicocca Impresa Sociale. In una conversazione con Susanna Mantovani, professoressa onoraria del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione "Riccardo Massa", Piera Braga, ricercatrice e responsabile scientifica del nido fin dall'inizio, e Luisa Zecca, professoressa ordinaria dell'Università di Milano-Bicocca, presidente della Fondazione, ripercorriamo le tappe principali di questa esperienza educativa, tra continuità, trasformazioni e nuove prospettive.

Il motto è “Il bambino al centro”: cosa significa concretamente per voi partire dal bambino?
S.M. Oggi, a distanza di tempo, renderei il messaggio ancor più personalizzato: ogni bambino al centro, nella sua unicità, con un'importante attenzione al singolo all'interno del gruppo.
P.B. Aggiungerei che per noi significa avere questa attenzione, sapendo che nel contesto del nido e della scuola dell'infanzia si ha un punto di vista diverso, un altro modo di guardare quel singolo che esprime se stesso. Anche grazie alla dimensione della comunità, che è fondamentale.
L.Z. Il bambino al centro oggi significa far sì che gli adulti vedano e diano parole ai bambini. Prendersi cura di loro ed essere corresponsabili con le famiglie della loro crescita ha un valore sociale e culturale per tutta la comunità, avendo cura delle differenze che ciascuno esprime: bambini e famiglie vivono all'interno di un territorio, in relazione con il mondo del lavoro e i servizi, con il mondo della cultura, con un sistema economico. I bambini crescono nelle famiglie e nel nido, ma per stare nel mondo.

Il nido è anche un laboratorio di ricerca e formazione. In che modo questo influisce sulla vostra proposta e sulla qualità del servizio?
S.M. La formazione degli adulti è intrinseca all'esperienza del nostro nido: abbiamo una particolare attenzione al percorso di formazione di chi sceglie professionalità così delicate e dedichiamo parte delle nostre attività di ricerca proprio a questo aspetto, prendendo anche parte a progetti internazionali. Tra questi il programma europeo CARE, del quale siamo diventati un caso emblematico, ma anche progetti che hanno attraversato l'Oceano grazie al digitale, come avvenuto con l'Università del Tennessee di Knoxville.
P.B. Educare i bambini vuol dire prima di tutto prendersi cura di chi si occupa di loro. Questo collegamento tra ricerca e formazione aiuta tutti noi e in primo luogo le educatrici, gli insegnanti, ad alimentare questa disposizione alla curiosità, a riflettere sempre su quello che si sta facendo, a rivederlo. E il confronto nell'ambito della ricerca internazionale con i colleghi stranieri aiuta a guardare al proprio operato in modo diverso.
L.Z. All'interno del programma Erasmus+ INTEC (Developing an innovative in-service training model for ECEC staff) stiamo portando avanti un progetto internazionale per la formazione degli educatori con cinque partner, con l'obiettivo di costruire un curriculum europeo sulla base di altrettanti percorsi di formazione sperimentali all'interno dei servizi e delle scuole che vengono verificati a livello locale e a livello internazionale. È un percorso di formazione che è più un'attitudine alla ricerca costante e continua di tutti i soggetti, per costruire una visione di sistema.
Una visione di sistema che integra quindi molteplici sguardi e punti di vista all'interno della proposta.
L.Z. Contribuisce allo sviluppo dell'organizzazione: continuare ad apprendere porta a interagire maggiormente con i nostri partner. Ciò che facciamo viene condiviso e diffuso nelle attività di consulenza e formazione per pubbliche amministrazioni o enti privati, una rete che è fatta di più di 400 servizi e scuole. Non è solo legata allo sviluppo professionale individuale. Fare questo lavoro con motivazione e passione richiede poi l'avere in mente e a cuore le persone che costruiscono con i bambini una relazione che ci piace definire “calda ma pensata”: non guarda solo agli aspetti dell'apprendimento, ma ha uno sguardo empatico e attento sui bambini che incontrano la realtà da esploratori.
P.B. E questo richiede la previsione di molti e regolari momenti di scambio e confronto all'interno del gruppo di lavoro. Non è un lavoro che si può fare da soli.
S.M. Credo dovrebbe essere riconosciuta maggiormente la delicatezza del lavoro di educazione. Quanto è intenso, quante energie richiede. È un percorso che si alimenta attraverso una cultura dell'educazione, la proposta di stimoli che vanno oltre una routine che talvolta può essere pesante nella quotidianità, pur alternandosi a momenti di straordinarietà e scoperte. La curiosità, la formazione, la condivisione con altri del proprio percorso, permettono di respirare e ampliare lo sguardo.

Ci potete raccontare alcune delle caratteristiche della vostra proposta?
P.B. La sperimentazione di un atelier scientifico: coltivare fin da piccoli un atteggiamento scientifico. A Milano c'è poca natura, allora attraverso la proposta di un atelier scientifico abbiamo cominciato ad esplorare con i bambini il nostro giardino, con i suoi animali e piante: è una fonte infinita di ragionamenti, esperienze. Avere un approccio scientifico, per noi, significa osservare, parlare di quello che abbiamo osservato, imparando tantissimo anche noi – come è avvenuto con le api.
S.M. Il nido era aperto da poco e nel giardino c'era un cespuglio che il factotum dell'Università voleva tagliare per la presenza delle api. Abbiamo pensato di portare giù i bambini, stando un po' lontani, per fare delle foto e abbiamo realizzato dei filmati per far vedere ai bambini come si muovessero. Da questa esperienza sono nate delle conversazioni bellissime. In continuità con questo approccio, oggi una nostra scienziata lavora nella scuola. A partire da esperienze che nascono all'interno del nostro giardino, ha fatto nascere dialoghi molto approfonditi con i bambini: con estrema delicatezza, ma anche con dolcezza e dialogo, si affrontano non soltanto aspetti di osservazione naturalistica, ma anche grandi domande. La scienza è una via in cui coesistono emozioni, pensiero e riflessione.
Qual è il ruolo dei genitori nel vostro progetto educativo?
P.B. Il loro coinvolgimento è importante, al di là di tutti i momenti canonici di incontro. Noi abbiamo la regia del progetto, ma alcuni progetti, anche molto interessanti, sono partiti dai genitori e hanno aiutato ad alimentare l'attenzione dei bambini, a coltivare sensibilità e linguaggi.
L.Z. Sicuramente chi ha vissuto l'esperienza del nostro nido da genitore si sente parte di un progetto. È una comunità allargata di corresponsabilità, un luogo anche dei genitori. Costruire l'identità del progetto pedagogico con loro è un lavoro costante che nasce dalla costruzione di una relazione di fiducia. I genitori sono una risorsa enorme, portano le loro competenze, proprio perché pensiamo la scuola come un luogo di cultura: in cui si impara a socializzare, a sapere convivere in una comunità e tutto quello che significa, a prendersi cura di sé. Siamo molto fortunati perché siamo circondati da gente molto appassionata in quello che fa.
S.M. Non trascuriamo mai di riflettere su qualcosa che un genitore ci ha detto, lo stimolo offerto dal suo punto di vista. È un dialogo tra adulti che hanno la fiducia di affidare i propri bambini e adulti che creano una comunità con delle finalità e dei metodi che, pur avendo delle condizioni, dei valori e dei punti di riferimento teorici, sono attente a un fatto: i bambini cambiano, il mondo cambia. Si costruisce insieme, nella quotidianità, osservando tutti gli aspetti e le modificazioni che intervengono nel gruppo.

Quali sono state le caratteristiche della nascita della partnership con Pirelli e con le altre realtà che hanno aderito all'iniziativa?
S.M. Credo che abbiamo avuto la grande fortuna di partire, vent'anni fa, in un momento molto particolare per il quartiere che stava nascendo. Un momento storico favorevole, che ha portato a fare rete con tutte le aziende e organizzazioni presenti nel Distretto Bicocca, per far crescere quello che allora era un deserto. Ciò ha reso possibile uno scambio non semplicemente fondato sulla proposta di un servizio o di una convenzione, ma lo sviluppo di un'esperienza unica, tra le prime in Italia. Una cosa specifica che lego alla partnership con Pirelli è l'esperienza di internazionalità e multilinguismo che ci ha consentito di imparare, ci ha dato una visione e ci ha permesso di sperimentare.
In che modo un servizio educativo di qualità, interno all'università e pensato anche per chi lavora, può contribuire concretamente a sostenere l'equilibrio tra vita familiare e professionale?
P.B. Noi accogliamo i genitori del nido in una fase molto particolare. Hanno un bambino, spesso molto piccolo, e necessitano di tante attenzioni rispetto alle quali sarebbe importante fare ricerca insieme alle aziende e ai servizi per costruire soluzioni di cura pensate bene. Ciò che rileviamo negli ultimi tempi è un aumento nella presenza dei papà, una cosa molto bella.
S.M. Questa è una cosa che non si sottolinea abbastanza: credo che un approfondimento nei servizi che coinvolgono i bambini rispetto alla presenza maggiore dei padri e ciò che significa per i bambini, per la coppia, per il mondo del lavoro, sarebbe un bellissimo tema di ricerca futura da sviluppare insieme alle aziende.
L.Z. Effettivamente se penso alla nostra città e al nostro territorio aumentano le coppie che si trasferiscono qui per lavorare e non hanno le famiglie, aumentano anche lavoratori con background culturali differenti, di qualsiasi genere: il nido concilia vita e lavoro non dal punto di vista dei bambini, ma degli adulti, diventando uno spazio di accoglienza e condivisione, conciliando benessere mentale e vita lavorativa in un senso diverso, facendo sì che i servizi per l'infanzia acquisiscano un ruolo nuovo.
Cosa sperate che ogni bambino porti con sé dopo aver vissuto l'esperienza del Nido e della Scuola dell'Infanzia Bicocca?
P.B. Io spero che conservino la curiosità, un atteggiamento che molti genitori ci dicono di riconoscere nei loro bambini nei confronti del mondo e degli altri. È quello che cerchiamo di sostenere, insieme al valore della comunità.
S.M. Io spero che si portino dietro il fatto di essere stati riconosciuti, di aver avuto un rapporto personale. E allo stesso tempo il fatto di stare bene con gli altri in una modalità che è individuale ma anche socialmente costruttiva.
L.Z. Direi un seme. Portano via un pezzo di memoria di sé che non avrebbero altrimenti. Questo è molto importante perché quello che questo percorso lascia in termini di memoria viene molto pensato nella nostra scuola. Ogni immagine viene scelta, ogni parola viene scelta e quindi racconta un pezzo di sé che sicuramente un essere umano da solo non riuscirebbe a ricordare nei primi tre anni di vita. Questa memoria può continuare a costruire legami. In questo senso, il seme è metafora del potenziale.