Suzie Davies è sulla cresta dell'onda. Fresca di cerimonia degli Oscar – dove ha ricevuto una nomination per la Miglior Scenografia nel thriller papale Conclave di Edward Berger – ha appena concluso il lavoro sul nuovo, attesissimo progetto di Emerald Fennell: una rivisitazione di Cime Tempestose, con protagonisti Margot Robbie e Jacob Elordi.
“Mi sento fortunata”, commenta, definendo il film come il progetto dei sogni, prima di correre verso il prossimo incarico: quattro settimane di lavoro intenso, una dietro l'altra.
Un ritmo serrato, certo, ma che non la spaventa. Davies lavora nel settore fin dagli anni '90 e racconta che questo stile di vita le calza a pennello: qualche mese di preparazione seguito da mesi di riprese “intense”. “La mia energia e il mio entusiasmo si adattano bene a queste tempistiche,” spiega. “Ogni progetto è così diverso dall'altro che la motivazione resta sempre viva”.
Un bel salto rispetto alle sue origini. Davies descrive la propria infanzia come “abbastanza conservatrice”: padre ingegnere, madre insegnante di musica. Nessuno, dice, avrebbe mai immaginato di vederla fare carriera nel cinema.
Eppure, è proprio il segno della sua genialità creativa che alcuni tra i più acclamati e premiati registi al mondo – da Fennell e Berger a Mike Leigh – scelgano proprio lei. Collaboratrice impeccabile, Suzie Davies ascolta con grande attenzione la visione del regista per poi costruire la propria. Il più delle volte superando i limiti del possibile.

Pensare in grande
Non potendo accedere agli spazi interdetti del Vaticano per Conclave, Suzie Davies ha ricreato la sua personale versione della Cappella Sistina nel più grande studio cinematografico d'Europa: Cinecittà, a Roma – lo stesso utilizzato, in passato, dal grande regista Federico Fellini. “Avevamo uno dei palcoscenici più grandi,” ha raccontato di recente alla piattaforma A Rabbit's Foot, dedicata a cinema, arte e cultura, “ma ogni scenografo lo sa: si vorrebbe sempre uno spazio più grande. L'abbiamo riempito fino all'ultimo centimetro”.
Per Saltburn, la dark comedy satirica firmata da Emerald Fennell nel 2023, ambientata nel mondo dell'alta società britannica e dell'élite universitaria di Oxford, Davies ha avuto a disposizione una location reale: la villa di campagna inglese che dà il nome al film, gentilmente concessa dalla famiglia che la abita. Per sottolineare le oscure forze all'opera all'interno di quella casa ancestrale, Davies ha fatto costruire un labirinto di siepi su misura e una scultura inquietante di un minotauro. Per quest'ultima, è riuscita a trovare un'artista con una vera ossessione per i minotauri – solo Davies poteva riuscire in un'impresa simile.
È la prima a definirsi “naturalmente curiosa”, qualità che gioca un ruolo fondamentale nell'ampiezza e nella profondità del suo lavoro di “costruzione di mondi”. Per Mike Leigh, maestro dell'improvvisazione cinematografica, ha realizzato scenografie di straordinario realismo, sia contemporanee che storiche – come nel dramma in costume ottocentesco Mr. Turner (2014), che le è valso una candidatura all'Oscar, e Peterloo (2018), il film con il budget più ampio nella carriera del regista britannico.
Attenzione ai dettagli
Non riuscendo a trovare l'ambientazione giusta nella Manchester contemporanea – teatro del massacro del 1819 – Davies ricorda come il regista l'abbia mandata in cerca di location perfette per l'epoca. “Abbiamo girato in lungo e in largo per il paese, mentre Mike sviluppava la storia,” ha raccontato a The Times. “Abbiamo visitato dimore storiche, proprietà del National Trust – qualsiasi cosa avesse facciate georgiane in mattoni rossi.” Davies non si è lasciata scoraggiare, e il risultato finale è stata un'ambientazione perfettamente credibile, costruita come un mosaico di luoghi sparsi tra nord e sud dell'Inghilterra.
Leigh le ha poi lanciato una sfida completamente diversa con Hard Truths (2024), raffinato dramedy che racconta la storia di due sorelle alle prese con depressione e rabbia nella loro quotidianità suburbana, nel nord-ovest di Londra. Ancora una volta, Davies ha fatto ben più del necessario per rendere le ambientazioni autentiche. Ha interrogato le attrici Marianne Jean-Baptiste e Michele Austin sui gusti dei loro personaggi immaginari. Solo allora si è sentita in grado di scegliere gli oggetti di scena, i vestiti, i colori delle pareti e i mobili che le due sorelle avrebbero potuto realmente avere nelle loro case.
Questa meticolosità quasi maniacale è l'arma segreta di Suzie Davies. Colpisce scoprire che da bambina era considerata “dispersiva” e “combinaguai”. Ma, a pensarci bene, stupire è proprio una delle cose che le riescono meglio.
Innanzitutto, congratulazioni per la recente nomination all'Oscar per Conclave. Che effetto le ha fatto?
È stato incredibile, emozionante… e anche un po' scioccante! La cerimonia è stata splendida – soprattutto perché tanti altri reparti del team di Conclave sono stati riconosciuti. C'era un bellissimo senso di cameratismo nel team!
Partiamo dalle basi: come descriverebbe il suo ruolo di scenografa?
Do vita al mondo del copione. Dalla scelta delle location alla progettazione dei set in studio, fino ai dettagli più minuti: gli oggetti che i personaggi usano, l'auto che guidano, il cane che possiedono, il cibo che mangiano, il tavolo della cucina dove si siedono, le lenzuola su cui dormono… creo una realtà intera. Oppure, nel caso, l'astronave su cui volano o il pianeta su cui vivono… una fantasia completa!
Ho una squadra di set decorator che si occupa di arredare e vestire i set, e poi c'è il team di art director e disegnatori e disegnatrici che trasformano i miei schizzi in progetti dettagliati, collaborando a stretto contatto con i costruttori per dare forma concreta ai set.
Era questo il piano fin dall'inizio? Ha sempre voluto lavorare nel cinema?
Non proprio. Da bambina ero un po'... dispersiva: “combinaguai e un po' monella” è forse la definizione più onesta di me. Non avevo la minima idea di cosa fosse questo settore. Mi sono laureata in agraria, ma durante la mia prima estate nel “mondo reale” ho lavorato per un modellista e uno scultore, giusto per guadagnare qualcosa. Spazzavo i pavimenti e facevo il tè, mentre nel frattempo facevo colloqui per dei “lavori da adulti”.
Quella prima occhiata a questo mondo ha acceso qualcosa in me. È stata una scintilla. E tutto è sembrato subito… giusto.
E da quella scintilla, come è andata avanti?
Ci sono stati due momenti chiave, entrambi grazie a persone che hanno scommesso su di me. Il primo è stato quando sono riuscita ad avere un colloquio – e poi a ottenere il lavoro – per una serie TV chiamata Kingdom, con Stephen Fry nel ruolo di un avvocato nella campagna del Norfolk. Quella fu la mia prima serie “mainstream”, e mi sentii subito nel posto giusto. Ricordo perfettamente la sensazione: come se crescessi dentro il ruolo, trovando il mio modo di lavorare e circondandomi di un team che mi supportava e mi permetteva di farlo.
Il secondo momento decisivo è arrivato quando Mike Leigh mi ha offerto Mr. Turner. Nel 2013 ero ancora una scenografa relativamente nuova nel cinema – e ancora oggi faccio fatica a credere che mi abbia scelta. Collaborare con Mike ha cambiato completamente il mio modo di progettare e fare film: è un narratore, un cineasta, completo e straordinario.
Lei dà vita alle visioni degli altri. Da dove si comincia?
Il regista è il mio punto di riferimento principale. È fondamentale che io sia in sintonia con la sua visione e i suoi desideri per il film. Cerco di entrare nel loro ritmo, così che ogni mia decisione sia sempre permeata dal loro processo narrativo. Spesso, quando troppe persone vogliono dire la loro, i film rischiano di diluirsi.
I direttori della fotografia sono figure chiave: possono valorizzare o affossare il lavoro di uno scenografo (e vale anche il contrario!), quindi cerco di mantenere una comunicazione sempre aperta e trasparente. Tengo molto a rendere i set e gli ambienti “filmabili” e ben illuminabili. Costumi e trucco sono anch'essi parte integrante della collaborazione. Ed è proprio questo l'aspetto più gratificante del cinema: le collaborazioni creative che si instaurano in ogni progetto, ognuna con una dinamica diversa.
Ha ricreato la Cappella Sistina per Conclave, costruito uno zoo nel cuore di Praga per La signora dello zoo di Varsavia, rappresentato la Londra dell'Ottocento in Mr. Turner. Come si comincia a dar forma a idee così ambiziose?
Artisti, fotografi, installazioni, gallerie. Sono come una gazza ladra: fotografo continuamente dettagli o ispirazioni che mi colpiscono. Le ricerche e le conversazioni con professionisti dei settori che sto rappresentando sono sempre preziose – e pian piano inizia a formarsi un'“essenza”. Creo dei photostream con immagini che raccolgo e che condivido in modo costante con il regista: ci scambiamo idee, suggestioni, impressioni. Nelle prime fasi di preparazione, si parla tantissimo con il regista e/o con lo sceneggiatore: è un continuo dialogo.
In Saltburn, la resa visiva era straordinaria, e la villa di campagna sembrava quasi un personaggio a sé. Lavorare in una casa reale, abitata da una famiglia, le è sembrato un limite o una libertà?
Saltburn è stata un'esperienza meravigliosa, perché la famiglia ha accolto con entusiasmo le nostre idee e mi ha permesso di modificare alcune stanze (anche se solo temporaneamente) per farle rispecchiare meglio la vita dei personaggi. In più, il fatto che quella casa non fosse mai stata usata prima in un film è stato davvero stimolante. Proprietà come questa portano con sé delle caratteristiche uniche, delle “stranezze” che abbiamo potuto valorizzare: lo stagno quadrato, la scala a chiocciola, e così via.
Quando le capita un progetto con una location remota, oppure un'ambientazione fantastica o immaginaria, il suo cuore affonda o si esalta?
Ah! Si esalta ogni volta! Adoro leggere una sceneggiatura per la prima volta. Nel tempo ho imparato a seguire l'istinto: segno subito tutto ciò che mi colpisce o mi incuriosisce a una prima lettura. Questi appunti diventano poi la base per tutta la mia ricerca, per la costruzione di una proposta visiva per il film.
Ci racconta qualche oggetto di scena o ambientazione che le ha dato un piacere particolare – o che è stato un incubo da realizzare?
Tantissimi! Dieci acri d'erba cresciuti in tre mesi. Un set che potesse allagarsi. Una casa che potesse esplodere. Uno stagno ghiacciato su cui pattinare… nel bel mezzo dell'estate.
Qual è stata la richiesta più strana che le sia mai stata fatta?
Probabilmente alcune delle cose che mi ha chiesto Emerald Fennell – come occhi di vetro e ciglia finte per il maialino da latte in Saltburn!
Secondo lei, cosa porta davvero la scenografia a un altro livello?
Non esiste una formula perfetta. Un film a basso budget ti costringe a pensare in modo diverso: ti obbliga a trovare soluzioni che, con più risorse, forse non avresti nemmeno preso in considerazione. Ma il copione è sempre il cuore di tutto. È da lì che si parte. Se non funziona quello, non funziona nient'altro.
Noi, spettatori, ci perdiamo nei mondi incredibili che lei è in grado di creare. Quanto è importante che anche gli attori riescano a farlo?
Da quando ho lavorato con Mike Leigh, questo aspetto è diventato fondamentale per me. Adoro quando un attore riesce a sentirsi a proprio agio (o a disagio, se la scena lo richiede) nell'ambiente che abbiamo costruito – e riesce a recitare senza sentirsi limitato o fuori luogo.
Qual è il ruolo dell'IA nella cinematografia?
Credo che molto di ciò che già facciamo implichi forme di intelligenza artificiale, e trovo affascinante capire cos'altro potrà fare – potrebbe diventare un altro strumento utile per l'essere umano. Quello che mi inquieta un po' è il livello successivo: quando l'IA inizia a essere usata da un'altra IA. Quando o dove si fermerà? Ma ho fiducia nell'IU, l'intelligenza umana. Troveremo il modo di gestire il tutto.
Come donna nel cinema, si sente una pioniera?
Ho visto tante donne forti e capaci fare cinema, in tutti i reparti, e mi piace pensare di far parte di questo quadro più ampio. Raggiungere un punto in cui il genere non conti più, e si parli solo di raccontare buone storie, forse richiederà ancora anni – ma stiamo andando nella direzione giusta.
Sembra che lei si spinga sempre verso traguardi creativi più ambiziosi. Qual è il tuo segreto?
Perseveranza, perseveranza, perseveranza. E dire “sì” a ogni opportunità: crea un effetto domino. In ogni progetto collabori con persone diverse e realizzi cose nuove, quindi impari continuamente, direttamente sul campo.